sabato 21 aprile 2012

SULLE SCALE DELLA DIAZ Riflessioni sul film, sul movimento e il Prc

Quella maledetta notte tra il 21 e il 22 luglio 2001 fui tra i primi ad entrare nella scuola Diaz. Ricordo ancora ogni passo su quelle scale, il cuore in gola che pompava sangue . Sangue fresco come quello che vedevamo sui muri, sugli spigoli delle porte  sui sacchi a pelo per terra. Zaini svrentrati, indumenti e spazzolini da denti sul pavimento, computer e vetri in frantumi. Era ancora calda la violenza esercitata dai teppisti in divisa. L'avevamo sentita per ore fuori dalla scuola fronteggiando il cordone invalicabile di polizia e carabinieri. Adesso la "sentivamo" in quella palestra, nelle aule devastate, nel pensiero e nell'angoscia dei nostri compagni portati via in barella, con i loro volti tumefatti, con le bende bianche che coprivano la vergogna. Si, lo confesso, la visione del film "Diaz" mi ha restituito quella sensazione, quel pugno nello stomaco che provavo mentre salivo uno ad uno ogni scalino della scuola. Devo dire che da questo punto di vista l' utilità del film è indiscutibile. A mio figlio , che ora ha diciannove anni, il film può meglio di tante parole raccontate da suo padre restituire il senso di quella repressione, far percepire la fisicità di quella brutalità, costringerlo - come larga parte dell'opinione pubblica - ad interrogarsi su come tutto questo abbia potuto accadere nella "democratica e civile" Italia. Il film è una opera artistica, parla il suo linguaggio, non si può pretendere che spieghi tutto. Per noi del Genoa Social Forum che conosciamo ogni dettaglio di quella repressione il film non basta. Non può bastare: è ovvio, è naturale che sia così. Ma sarebbe un errore imperdonabile non comprenderne il suo effetto  di denuncia, il suo mettere in evidenza quei corpi violentati e l'odio - si l'odio alla stato puro - delle forze dell'ordine nei confronti di quei cittadini che per la legge  avrebbero invece dovuto difendere. Il film ha tra l'altro il merito di evidenziare il carattere internazionale della mobilitazione, con i suoi protagonisti non italiani presi di mira dall'ossessiva macchina repressiva. Se devo fare un appunto al film è semmai per una certa confusione che viene fatta sovrapponendo, per certi versi, l'irruzione alla scuola Pertini a quella della Diaz. In senso temporale l'irruzione avvenne prima alla Pertini, sede del Gsf , del legal forum e del mediacenter e solo dopo nello stabile dormitorio della Diaz. L'irruzione alla Pertini meritava di essere raccontata dal film perchè li la violenza fu "dosata" per la presenza di giornalisti e parlamentari (l'eurodeputata del Prc Luisa Morganitini) ma anche perchè la registrazione di quei minuti drammatici dell'irruzione venne raccontata in diretta dalla radio del movimento - Radio Gap - ubicata all'ultimo piano della scuola. Raccontare quella irruzione - illegale perchè era una sede politica e bisogna tornare al fascismo per ricordare una occupazione militare di una sede di organizzazione di massa - avrebbe contribuito a chiarire la scelta politica golpista fatta in quelle ore.

IL GSF E IL PRC, UNA TESSITURA CHE VENIVA DA LONTANO

Non mi unisco però ai detrattori del film anche se è vero che  omette diverse cose lucidamente riportate nella critica da Vittorio Agnoletto. Ma un film sull'esperienza di Genova, su quell'assalto al cielo del mondo globalizzato, non so se esiste al mondo un regista in grado effettivamente di girarlo. D'altronde anche la copiosa letteratura sul G8 2001 non ha mai avuto il gusto o la voglia di indagare su come sia stato possibile la sperimentazione del Genoa Social Forum , sul suo lungo percorso di avvicinamento, quasi che 200mila persone si potessero materializzare in un luglio afoso sul lungomare di Genova semplicemente per moda o per miracolo. Chi ha intrecciato i fili perchè mondi così diversi, dalle suore di Boccadasse ai disobedienti del Carlini, parlassero ed agissero insieme? Quale mastodontica opera di pazienza e di costruzione politica c'è stata dietro nei  due anni che hanno preceduto il G8? Molti si sono accontentati di individuare nel Forum Sociale Mondiale di Porta Alegre - che si tenne per la prima volta nel gennaio 2001- il cemento e l'evento internazionale dentro il quale è stato incubato il Genoa Social Forum. E' una verità parziale, che non tiene conto di un percorso più lungo, che è non è solo la partecipazione alla mobilitazione al vertice di Praga o quelli successivi ai fatti di Napoli (marzo 2001). Perchè affronto questo argomento? Perchè mi pare che questa menomazione della storia induca un persona di pensiero lucido e profondo come Fausto Bertinotti ad una autocritica sbagliata.  Sia chiaro Fausto Bertinotti fu tra i dirigenti del Prc che più si sono battuti -  insieme a lui ricorderei a pieno titolo  Ramon Mantovani e Roberto Musacchio - nell' investire l'organizzazione e il progetto della Rifondazione anima e corpo in quello che allora in Italia si chiamava "movimento no global". Per chi ha rappresentato il Prc  come portavoce del Genoa Social Forum, come chi scrive, il sostegno e il consiglio di Bertinotti è stato fondamentale. Senza la sua copertura e condivisione non avremmo mai potuto superare le tantissime resistenze che incontravamo nel partito locale e nazionale, in quella che per molti era una bizzarra idea di sedere alla pari con altri soggetti non partitici, di essere parte e non tutto del movimento.

SCIOGLIERE IL PRC A GENOVA? UN TEMA INESISTENTE NEL MOVIMENTO

 Avevamo imparato dagli zapatisti ad ascoltare e ad imparare dagli altri. Nelle giornate di Genova il Prc era in tutte le piazze tematiche: quelle fatte dalla Rete Lilliput, dalla Rete contro il G8 , da Attac dai Cobas, dai disobbedienti. Non scegliemmo una nostra piazza, ma decidemmo di stare ovunque. Avevamo la consapevolenza di funzionare da collante dei vari pezzi, senza apparire troppo e sempre con spirito di servizio. Bertinotti ci dice che dovevamo avere più coraggio : sciogliersi nel movimento e costruire con quelle diverse soggettività una nuova forza. A me pare che questo sia un ragionamento influenzato a posteriori dall'attuale marginalità della sinistra di alternativa e totalmente assente nel dibattito del movimento di allora. Il movimento ci riconosceva perchè eravamo coerenti tra le cose che dicevamo (in parlamento, nei talk show televisivi) e quello che facevamo con le lotte. E' quando tra le enunciazioni e i fatti è sorta una separazione prima, una contraddizione aperta poi, che il rapporto tra Prc e le altre anime del movimento è entrato in crisi. Se non sei quello che dici insomma sei come tutti gli altri animali politici. Dovevamo al contrario scegliere ed accentuare la nostra attidudine di movimento e di fare società. Invece c'è stato un corto circuito figlio di scelte politiche. Fu la scelta - una vera e propria virata - di spostare verso l'alternativa di governo a Berlusconi e dunque all'alleanza nell'Unione, la linea politica del partito a portare serissimi contraccolpi alla nostra credibilità nel movimento. Anche la parola d'ordine che coniammo "movimento pesante, governo leggero" entrando nel gabinetto di Prodi si è rivelata aleatoria e irrealistica perchè i pesi della compatibilità governativa si spostavano decisamente sul secondo e non sul primo. In sintesi penso che il Prc venne trasformato profondamente dalla preparazione e dalla generosa partecipazione alle giornate di Genova ma che non abbiamo avuto il coraggio- questo si-  di spostare in modo più duraturo e centrale il peso dell'esistenza politica del partito nella società. D'altronde dobbiamo pur farci la domanda di come sia stato  possibile che una generazione di giovani comunisti  sia passata in dieci anni dallo stadio Carlini all'alveo politico/ideologico del  Partito Socalista Europeo del direttore del Wto Pascal Lamì? Questa idea di una grande occasione persa - il mancato scioglimento nel 2001 del Prc nel movimento  - non può  funzionare da rimozione dei nostri veri errori, che devono essere - e su questo concordo totalmente con Bertinotti - affrontati senza remore e in profondità.

Alfio Nicotra

Nessun commento:

Posta un commento

Il racconto truccato del conflitto previdenziale

di Matteo Bortolon da Il Manifesto   Le pensioni sono sotto attacco. Non a singhiozzo, non in fasi circoscritte: sempre. Tale conclu...