Quella maledetta notte tra il 21 e il 22 luglio 2001 fui tra i primi
ad entrare nella scuola Diaz. Ricordo ancora ogni passo su quelle scale,
il cuore in gola che pompava sangue . Sangue fresco come quello che
vedevamo sui muri, sugli spigoli delle porte sui sacchi a pelo per
terra. Zaini svrentrati, indumenti e spazzolini da denti sul pavimento,
computer e vetri in frantumi. Era ancora calda la violenza esercitata
dai teppisti in divisa. L'avevamo sentita per ore fuori dalla scuola
fronteggiando il cordone invalicabile di polizia e carabinieri. Adesso
la "sentivamo" in quella palestra, nelle aule devastate, nel pensiero e
nell'angoscia dei nostri compagni portati via in barella, con i loro
volti tumefatti, con le bende bianche che coprivano la vergogna. Si, lo
confesso, la visione del film "Diaz" mi ha restituito quella sensazione,
quel pugno nello stomaco che provavo mentre salivo uno ad uno ogni
scalino della scuola. Devo dire che da questo punto di vista l' utilità
del film è indiscutibile. A mio figlio , che ora ha diciannove anni, il
film può meglio di tante parole raccontate da suo padre restituire il
senso di quella repressione, far percepire la fisicità di quella
brutalità, costringerlo - come larga parte dell'opinione pubblica - ad
interrogarsi su come tutto questo abbia potuto accadere nella
"democratica e civile" Italia. Il film è una opera artistica, parla il
suo linguaggio, non si può pretendere che spieghi tutto. Per noi del
Genoa Social Forum che conosciamo ogni dettaglio di quella repressione
il film non basta. Non può bastare: è ovvio, è naturale che sia così. Ma
sarebbe un errore imperdonabile non comprenderne il suo effetto di
denuncia, il suo mettere in evidenza quei corpi violentati e l'odio - si
l'odio alla stato puro - delle forze dell'ordine nei confronti di quei
cittadini che per la legge avrebbero invece dovuto difendere. Il film
ha tra l'altro il merito di evidenziare il carattere internazionale
della mobilitazione, con i suoi protagonisti non italiani presi di mira
dall'ossessiva macchina repressiva. Se devo fare un appunto al film è
semmai per una certa confusione che viene fatta sovrapponendo, per certi
versi, l'irruzione alla scuola Pertini a quella della Diaz. In senso
temporale l'irruzione avvenne prima alla Pertini, sede del Gsf , del
legal forum e del mediacenter e solo dopo nello stabile dormitorio della
Diaz. L'irruzione alla Pertini meritava di essere raccontata dal film
perchè li la violenza fu "dosata" per la presenza di giornalisti e
parlamentari (l'eurodeputata del Prc Luisa Morganitini) ma anche perchè
la registrazione di quei minuti drammatici dell'irruzione venne
raccontata in diretta dalla radio del movimento - Radio Gap - ubicata
all'ultimo piano della scuola. Raccontare quella irruzione - illegale
perchè era una sede politica e bisogna tornare al fascismo per ricordare
una occupazione militare di una sede di organizzazione di massa -
avrebbe contribuito a chiarire la scelta politica golpista fatta in
quelle ore.
IL GSF E IL PRC, UNA TESSITURA CHE VENIVA DA LONTANO
Non
mi unisco però ai detrattori del film anche se è vero che omette
diverse cose lucidamente riportate nella critica da Vittorio Agnoletto.
Ma un film sull'esperienza di Genova, su quell'assalto al cielo del
mondo globalizzato, non so se esiste al mondo un regista in grado
effettivamente di girarlo. D'altronde anche la copiosa letteratura sul
G8 2001 non ha mai avuto il gusto o la voglia di indagare su come sia
stato possibile la sperimentazione del Genoa Social Forum , sul suo
lungo percorso di avvicinamento, quasi che 200mila persone si potessero
materializzare in un luglio afoso sul lungomare di Genova semplicemente
per moda o per miracolo. Chi ha intrecciato i fili perchè mondi così
diversi, dalle suore di Boccadasse ai disobedienti del Carlini,
parlassero ed agissero insieme? Quale mastodontica opera di pazienza e
di costruzione politica c'è stata dietro nei due anni che hanno
preceduto il G8? Molti si sono accontentati di individuare nel Forum
Sociale Mondiale di Porta Alegre - che si tenne per la prima volta nel
gennaio 2001- il cemento e l'evento internazionale dentro il quale è
stato incubato il Genoa Social Forum. E' una verità parziale, che non
tiene conto di un percorso più lungo, che è non è solo la partecipazione
alla mobilitazione al vertice di Praga o quelli successivi ai fatti di
Napoli (marzo 2001). Perchè affronto questo argomento? Perchè mi pare
che questa menomazione della storia induca un persona di pensiero lucido
e profondo come Fausto Bertinotti ad una autocritica sbagliata. Sia
chiaro Fausto Bertinotti fu tra i dirigenti del Prc che più si sono
battuti - insieme a lui ricorderei a pieno titolo Ramon Mantovani e
Roberto Musacchio - nell' investire l'organizzazione e il progetto della
Rifondazione anima e corpo in quello che allora in Italia si chiamava
"movimento no global". Per chi ha rappresentato il Prc come portavoce
del Genoa Social Forum, come chi scrive, il sostegno e il consiglio di
Bertinotti è stato fondamentale. Senza la sua copertura e condivisione
non avremmo mai potuto superare le tantissime resistenze che
incontravamo nel partito locale e nazionale, in quella che per molti era
una bizzarra idea di sedere alla pari con altri soggetti non partitici,
di essere parte e non tutto del movimento.
SCIOGLIERE IL PRC A GENOVA? UN TEMA INESISTENTE NEL MOVIMENTO
Avevamo
imparato dagli zapatisti ad ascoltare e ad imparare dagli altri. Nelle
giornate di Genova il Prc era in tutte le piazze tematiche: quelle fatte
dalla Rete Lilliput, dalla Rete contro il G8 , da Attac dai Cobas, dai
disobbedienti. Non scegliemmo una nostra piazza, ma decidemmo di stare
ovunque. Avevamo la consapevolenza di funzionare da collante dei vari
pezzi, senza apparire troppo e sempre con spirito di servizio.
Bertinotti ci dice che dovevamo avere più coraggio : sciogliersi nel
movimento e costruire con quelle diverse soggettività una nuova forza. A
me pare che questo sia un ragionamento influenzato a posteriori
dall'attuale marginalità della sinistra di alternativa e totalmente
assente nel dibattito del movimento di allora. Il movimento ci
riconosceva perchè eravamo coerenti tra le cose che dicevamo (in
parlamento, nei talk show televisivi) e quello che facevamo con le
lotte. E' quando tra le enunciazioni e i fatti è sorta una separazione
prima, una contraddizione aperta poi, che il rapporto tra Prc e le altre
anime del movimento è entrato in crisi. Se non sei quello che dici
insomma sei come tutti gli altri animali politici. Dovevamo al contrario
scegliere ed accentuare la nostra attidudine di movimento e di fare
società. Invece c'è stato un corto circuito figlio di scelte politiche.
Fu la scelta - una vera e propria virata - di spostare verso
l'alternativa di governo a Berlusconi e dunque all'alleanza nell'Unione,
la linea politica del partito a portare serissimi contraccolpi alla
nostra credibilità nel movimento. Anche la parola d'ordine che coniammo
"movimento pesante, governo leggero" entrando nel gabinetto di Prodi si è
rivelata aleatoria e irrealistica perchè i pesi della compatibilità
governativa si spostavano decisamente sul secondo e non sul primo. In
sintesi penso che il Prc venne trasformato profondamente dalla
preparazione e dalla generosa partecipazione alle giornate di Genova ma
che non abbiamo avuto il coraggio- questo si- di spostare in modo più
duraturo e centrale il peso dell'esistenza politica del partito nella
società. D'altronde dobbiamo pur farci la domanda di come sia stato
possibile che una generazione di giovani comunisti sia passata in dieci
anni dallo stadio Carlini all'alveo politico/ideologico del Partito
Socalista Europeo del direttore del Wto Pascal Lamì? Questa idea di una
grande occasione persa - il mancato scioglimento nel 2001 del Prc nel
movimento - non può funzionare da rimozione dei nostri veri errori,
che devono essere - e su questo concordo totalmente con Bertinotti -
affrontati senza remore e in profondità.
Alfio Nicotra
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