mercoledì 11 aprile 2012

Un’altra Italia da costruire

 
di Tonino Perna da soggettopoliticonuovo

Bisogna riconquistare sovranità per fermare la decrescita infelice. È necessario un nuovo soggetto
Ho firmato Il Manifesto per un nuovo soggetto politico per diversi motivi. Il primo è che questo Appello rompe una situazione stagnante e deprimente in cui è caduto il dibattito politico a sinistra, prima e dopo il governo Berlusconi. Il secondo è che rappresenta un tentativo prezioso di mettere insieme tante persone, compagni ed amici, che sono da anni impegnati nelle lotte per i diritti sociali e per una democrazia reale e che si mettono in cammino tentando di riempire un vuoto, che sta per trasformarsi in baratro, tra cittadini ed istituzioni. Il terzo è che i principi fondanti – una democrazia più diretta e partecipativa e la difesa dei Beni Comuni- rappresentano dei valori emersi in questi ultimi decenni nelle lotte delle popolazioni di tutto il mondo contro la rapina di risorse e la distruzione del proprio habitat. Ma, se usciamo dalla grotta platonica del “mondo delle idee” e ci confrontiamo con la vita quotidiana dei non addetti ai lavori, allora scopriamo i punti deboli di questo appello e le domande pressanti che emergono dalla società. Ho provato a spiegare il senso di questo appello al compagno giornalaio, alla donna che gestisce un forno-pasticceria, ai miei studenti. Nessuno mette in discussione questi principi, ma tutti si domandano: ma come usciamo da questa crisi che ci sta devastando? Come trovo un lavoro dopo la laurea, come mando avanti questa pasticceria se la gente non ha più soldi, come faccio a continuare a vendere giornali se la gente non ha i soldi per mangiare? Il cameriere del bar sotto casa: «Tutte chiacchiere professore… i partiti sono tutti uguali! L’unica cosa che possiamo fare è cercare ognuno di salvarci…» Cerchiamo di approfondire la questione. La maggioranza della popolazione, in tutta Europa, ha preso coscienza del fatto che i governi europei tentano di salvare le banche mentre affossano pensionati e lavoratori, i loro diritti ed il loro tenore di vita. Non c’è mai stata una critica così diffusa di questo modello sociale. Persino i principali mass media diffondono da un paio di anni dati sempre più allarmanti sulla polarizzazione sociale, sui ricchi che diventano ricchissimi e sui poveri che finiscono in miseria ed il ceto medio in via di proletarizzazione. La situazione diventa ogni giorno più insostenibile, la rabbia aumenta insieme alla paura, ma non genera una risposta collettiva. Ogni singolo soggetto sociale attaccato si difende per come può. Gli operai Fiom di Pomigliano , gli insegnanti precari messi fuori dal decreto Gelmini, il personale medico e paramedico dei piccoli ospedali che chiudono, le operaie dell’Omsa e di tante altre fabbriche, per non parlare dei suicidi che si moltiplicano come mai era successo in questo paese. Basta dire «noi siamo diversi», vogliamo un nuovo soggetto politico non verticistico, non leaderistico, ma fondato sulla partecipazione popolare ed i beni comuni? Il caso del movimento No Tav è esemplare. La partecipazione popolare alla lotta è ampia e di lungo periodo, ed il territorio – inteso come ambiente naturale ed insieme di relazioni sociali – è vissuto proprio come un bene comune. Malgrado la solidarietà della Fiom e di altri movimenti di difesa del territorio, nonché di un’ ampia schiera di intellettuali e tecnici, il governo Monti va avanti con la repressione dei manifestanti ed il sostegno della gran parte delle forze politiche presenti in Parlamento. Le poche forze politiche che si oppongono – Federazione della Sinistra, Sel, i grillini – non sono rappresentate in Parlamento ed anche qualora lo fossero sarebbero pur sempre una minoranza con scarso peso. Per questo abbiamo bisogno di una svolta radicale a livello nazionale che traduca politicamente la rabbia diffusa contro questo sistema ingiusto ed inquinante. Il nodo di fondo, ineludibile, è questo: come far diventare culturalmente egemone un altro modello sociale che sia radicalmente altro da questo fondato sulla accumulazione infinita del capitale, sul denaro che produce denaro, mentre la società e l’ambiente vengono distrutti. Viviamo, infatti, nel tempo della decrescita infelice, che produce un abbassamento della quantità e qualità della vita, che morde le solidarietà sociali, che genera individualismo, ansie e paure, e tragiche lotte tra poveri. Tutto il contrario del quadro idilliaco dipinto dai fautori della decrescita felice, per la semplice ragione che questa è una scelta di vita e di valori e non una mannaia imposta dai poteri forti del capitalismo finanziario. D’altra parte, lo stesso Latouche ha più volte detto e scritto che dentro la «società della crescita» la recessione genera dolori e provoca disastri e lutti. Serve pertanto un progetto politico non generico, ma fondato su alcune priorità, tenendo conto delle coordinate dentro le quali ci muoviamo. Innanzitutto, smontando la favola della crescita che ci racconta questo governo (ma anche chi l’ha preceduto) e facendo i conti con i limiti imposti dalla nuova divisione internazionale del lavoro e con l’insostenibilità del debito pubblico (che malgré Montì viaggia ormai verso il 125% del Pil a fine anno). È quindi necessario un progetto di recupero della sovranità nazionale in tre settori chiave: il denaro, l’energia ed i beni alimentari (compresa ovviamente l’acqua). Abbiamo bisogno di una sovranità monetaria che ci renda meno dipendenti dal ricatto dei fondi che detengono 900 miliardi di titoli di Stato italiani. Per questo serve lanciare un’alleanza con le forze politiche d’opposizione degli altri paesi pesantemente indebitati dell’Unione Europea, per far fronte comune e cambiare le politiche monetariste di Bruxelles. Serve anche una strategia per sostituire i titoli pubblici in mano agli speculatori extracomunitari con Bot dati agli italiani, sopra una certa soglia di reddito. Deve essere chiaro l’obiettivo: ritornare ad essere sovrani del nostro debito pubblico. Abbiamo altresì bisogno di un recupero di sovranità alimentare ed energetica, sia perché in questi due settori vitali la nostra bilancia commerciale è in pesante deficit, sia perché energia e beni alimentari diventeranno sempre più cari e delle vere e proprie armi strategiche nei prossimi anni. Ma soprattutto perché con più risparmio energetico ed energie rinnovabili migliora la qualità dell’ambiente e delle nostre città, così come un modello agroalimentare che crei un legame sociale tra produttori e consumatori, che faccia propri i principi del fair trade , migliora la qualità della vita, la nostra salute e quella della terra in cui viviamo. Non sono sogni da intellettuale illuminato o utopista, ma prassi sociali ben vive nel nostro paese. Sono, infatti, migliaia a livello locale le prassi di un altro mercato (dai Gas alle reti del commercio equo ed ai nascenti distretti dell’economia solidale, fino alla finanza etica ed ai tentativi di gestione di monete locali) che dimostrano che un’ Altreconomia è possibile. Così come ci sono decine di buone pratiche di Comuni italiani che fanno una capillare raccolta differenziata, che hanno detto basta al consumo di territorio, che hanno creato un sistema virtuoso di accoglienza degli immigrati, che promuovono la partecipazione della popolazione, che resistono nella difesa dei beni comuni che il governo vuole privatizzare (dall’acqua alle foreste, ai terreni ed immobili demaniali). Ma la sommatoria di tutte queste buone prassi sociali ed istituzionali non bastano a cambiare il modello politico dominante. Come sappiamo un albero non è la sommatoria delle sue parti. È quel quid che ci manca per fare un salto di qualità che lega il locale al globale, per uscire dalla retorica delle riforme e costruire l’alternativa. In questa direzione è urgente che nasca un grande soggetto politico che ci faccia uscire dalla frammentazione sociale e dall’entropia politica. Come farlo, senza cadere nella trappola dei duri e puri o dell’ennesima costruzione di un partitino della sinistra? L’idea-forza di un Comitato di Liberazione Nazionale, auspicato da Ugo Mattei, può diventare realtà se lo decliniamo politicamente come ricerca di una sovranità popolare perduta, come movimento di lotta alla dittatura della borghesia finanziaria e mafiosa che governa il pianeta. È solo diventando culturalmente egemoni sull’idea di un’ AltraItalia , su come vogliamo ricostruire il nostro paese – lungo le linee tracciate dalla Carta di Teano – che possiamo ritrovare le forze e la passione comune per uscire da questa crisi epocale.
 
Fonte: Il Manifesto 8 Aprile 2012

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