sabato 28 aprile 2012

Un Nuovo Soggetto Politico da spendere


di Franco Cilli 

Vorrei scrivere qualcosa di interessante sul Nuovo Soggetto Politico e sull'alternativa politica in generale sul nostro paese, ma mi rendo conto che la cosa è estremamente ingarbugliata e che è molto difficile dire cose non scontate e gravate dalla solita retorica, o peggio ancora avvolte nelle spire di un linguaggio oscuro e incomprensibile. Ho letto con interesse l'articolo di Asor Rosa sul Manifesto di ieri e forse dico sciocchezze, ma da tutte quelle belle parole su San Tommaso, accostato indegnamente a Negri, ho ricavato la sensazione che Asor Rosa volesse solo difendere l'esistenza dei partiti come istituzioni pubbliche e la loro valenza come portatori di istanze generali della società, cosa che un soggetto politico amorfo e dai confini incerti non sarebbe in grado di fare.
Vorrei dire solo una cosa in maniera ben chiara, per quanto mi riguarda sono arcistufo di popoli viola, indignati e quant'altro, movimenti evanescenti che producono conseguenze rilevanti solo nella mente di Negri, che li vorrebbe fuori dalla politica istituzionale, ma non si sa come anche agenti di un cambiamento radicale (come si cambia davvero se non si cambiano le istituzioni?). Se questa è un'aporia mi piacerebbe che qualcuno cercasse di risolverla, anche se personalmente non ho mai creduto nella “filosofia” né come sistema di indagine della realtà né come faro della politica, e al contrario ho sempre creduto nella “sperimentazione politica”, nell'intervento sul campo, fatto di azioni concrete valutate nelle loro conseguenze pratiche, principio a cui Negri sembra volersi affidare negli ultimi tempi. La sperimentazione però deve avere basi solide e solide premesse. Bene, credo che le basi solide ci siano, sia in termini teorici che motivazionali, basta solo dire che il sistema capitalistico nella sua forma più recente, il liberismo, ha prodotto e continua a produrre disastri incalcolabili per l'umanità, le prove di questo disastro certo non mancano e negli anni abbiamo elaborato una scienza della politica e della società sicuramente molto sofisticata. Da quello che sappiamo possiamo certo ricavare la necessità di un cambiamento radicale e di sostanza della società senza lambiccarci il cervello più tanto, e credo che fin qui siamo tutti d'accordo. Occorre adesso capire in che maniera e seguendo quale “protocollo” vogliamo sperimentare. Posto che non possiamo fare affidamento su una classe sociale (fordista o post-fordista che sia) come leva di un cambiamento radicale, allora dobbiamo dare per assodato che occorra far leva su una moltitudine umana eterogenea, la quale partendo dalla propria condizione materiale scorga l'alternativa all'esistente come unico orizzonte possibile. Bene, tutto ciò non implica alcuna novità, sono cose che dicono tutti ormai persino commentatori non certo “radicali”. Il problema vero è come coniugare i “differenti tipi logici” per mutuare un termine russelliano, cioè come coniugare l'impulso al cambiamento che viene dalla società civile con le sue istanze di rinnovamento della politica, di estensione del concetto di rappresentanza, di tutela dei diritti e del lavoro, con la necessità di incidere sulle istituzioni e sulle scelte politiche generali. In altre parole la politica dal basso va bene, ma come si traduce questo in governo reale del territorio e della macchina statale? In che modo possiamo sperimentare nuove forme di lotta politica, senza perdere di vista il potere vero? Appare evidente che più il movimento proclama la sua alterità nei confronti della politica dei partiti e quindi delle istituzioni “reali”, minore è l'impatto della società civile sulle istituzioni stesse. Coniugare i due momenti diventa allora essenziale - e qui la sperimentazione ha un senso - comprendendo che questi hanno logiche, contesti e scansioni temporali affatto diverse, ma che nessuno dei due può essere preso in considerazione senza l'altro. In definitiva se il nuovo soggetto politico non sarà in grado di influenzare in maniera determinante il processo elettorale e insieme a questo una strategia complessiva di uscita dal liberismo economico, concertata ad un livello perlomeno europeo, non otterremo nulla di concreto se non qualche fenomeno folkloristico passeggero. La disponibilità di Vendola a questo riguardo è una cosa positiva e c'è da auspicarsi che altre forze, aldilà del Pd, si rendano disponibili ad un dialogo. Sto parlando chiaramente di rinnovamento della classe politica a partire dai comuni per arrivare all'apparato statale e allo stesso tempo di una controffensiva netta e decisa contro il liberismo. La differenza qui fra pubblico e comune e quindi fra il “benecomunismo” come ultima frontiera dell'ideologia e il pubblico come categoria economica pratica radicata nella realtà, mi sembra essa stessa ideologica e poco interessante. In realtà pubblico e bene comune sono categorie non nuove come giustamente rileva Asor Rosa, quello che conta attualmente sono i bisogni reali che queste categorie racchiudono in sé in termini di fruizioni di servizi, tutela del patrimonio ambientale (pubblico e privato), di un Welfare efficiente e di garanzie per il futuro.
Non va però trascurato un altro fattore determinante: la crescita economica. Sia come sia, ma dobbiamo capire bene come il concetto di beni comuni o di pubblico si coniughi con il concetto di crescita, poiché se la decrescita è un concetto vago e un po' ingenuo, la crescita illimitata è insostenibile sia da un punto di vista logico che ambientale. Ma non è tutto, poiché oggigiorno il concetto di crescita o se volete anche di deficit spending, si contrappone drasticamente ad un concetto di austerità costruito ad hoc dalle politiche europee, che penalizza decisamente i ceti poveri a vantaggio di una classe di rentiers. Non è proprio così si dirà, visto che persino il FMI si è accorto che l'austerità è un danno per l'economia (soprattutto quella americana), ma fatto sta che paradossalmente l'austerità, da sempre vista come misura calmieratrice di un “consumismo democratico” con l'accesso ai consumi di una larga massa di persone, è oggi la più preziosa alleata di un certo capitalismo alimentato dalle varie scuole neoclassiche e liberiste. Barnard offre una soluzione alternativa alle teorie neoclassiche in economia, che più che sperimentale è per lui assiomatica e imprescindibile: la Modern Money Theory, per la quale si rimanda al sito democraziammt per maggiori approfondimenti. Detta in parole molto povere si tratta di una sorta di keynesismo rivisitato che pone come costante imprescindibile un bilancio statale a debito e contestualmente una moneta sovrana, a garanzia di un accesso diffuso al reddito e ai consumi.
C'è qualcosa però in questa teoria che non va, parte il paradosso comico di figuri berlusconiani che lanciano strali contro le politiche tedesche a favore dell'austerità utilizzando le stesse tesi di Barnard in una cornice semantica di stampo no-global, ed è l'idea che non si possa uscire da questa crisi se non con una politica di spesa tout court, senza alcuna specificazione o revisione del tipo di produzione e dei suoi processi. Non sono un pauperistica e ritengo che un certo livello di consumi ce lo siamo guadagnato e che sia ormai da ritenere “essenziale”, il problema semmai e la generalizzazione di un determinato standard di vita al mondo intero, ma credo che allo stesso tempo si debba dare un nome anche ai consumi “inessenziali” e accanto ad una politica di spesa affiancare una politica di risparmio delle risorse naturali. Facile a dirsi si dirà, più difficile è dare una risposta a quelle persone che perdono il lavoro a causa della delocalizzazione della produzione e di un riassestamento globale dell'economia. Per ora sappiamo per certo che non riusciamo a tenere aperte fabbriche destinate a fallire,  e sappiamo in maniera altrettanto certa che  dobbiamo dare da spendere alla gente che rimane senza lavoro, ed evitare come dice Barnard  che si ritrovino in un “appartamento marcio e umido” con due figli  a carico senza denaro per il minimo indispensabile.
Ma questo è solo l'inizio della storia, il seguito dipenderà dalla capacità del Nuovo Soggetto Politico di sopravvivere almeno una stagione.

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