sabato 14 aprile 2012

Noam Chomsky sul postmodernismo

da officinacognitiva
 
Sono di ritorno da viaggi in cui ho tenuto delle discussioni, un’attività in cui impiego la maggior parte della mia vita, e ho trovato una serie di messaggi che estendono la discussione alla “teoria”, alla “filosofia”, un dibattito che trovo piuttosto curioso. Sebbene io conceda fin da subito che forse sono semplicemente incapace di capire cosa stia accadendo.
Da quanto ho capito, il dibattito è cominciato con l’accusa che io, Mike e forse altri, non abbiamo “teorie” e quindi non riusciamo a fornire spiegazioni del perché le cose procedano nel modo in cui procedono. Per ovviare a questa lacuna nei nostri sforzi per capire e occuparci di quanto succede nel mondo dobbiamo tornare alla “teoria”, alla “filosofia”, ai “costrutti teorici” e via dicendo. Non parlerò per Mike. La mia risposta finora si limita a ribadire quanto ho scritto 35 anni fa, molto prima che il “postmodernismo” spuntasse nella cultura letteraria intellettuale: “se c’è un insieme di teorie, ben testato e verificato, che si applica alla conduzione di affari esteri o alla risoluzione di conflitti internazionali o domestici, la sua esistenza è stata tenuta segreta, nonostante molta ostentazione pseudo-scientifica.”
Per quanto ne so, l’affermazione era corretta 35 anni fa e lo resta oggi; inoltre si estende allo studio delle questioni umane in generale, e si applica a quanto è stato fatto da allora. Ciò che nel frattempo è cambiato, per quanto ne so, è una notevole esplosione di auto- e reciproca ammirazione tra i propositori di ciò che loro stessi chiamano “teoria” o “filosofia”, ma ben poco al di là dell’ostentazione pseudo-scientifica. Questo poco, come ho scritto, è talvolta sicuramente interessante, ma privo di conseguenze per i problemi del mondo reale che occupano il mio tempo e le mie energie.

 
Quest’ultimo fatto è assodato. Un buon filosofo e teorico sociale (oltre che attivista), Alan Graubard, scrisse qualche anno fa una recensione interessante sulla risposta libertaria che Robert Nozick diede a Rawls, e sulle reazioni che questa suscitò. Graubard mostrò che le risposte erano molto entusiaste. Tutti i critici esaltarono la potenza degli argomenti etc. etc., ma nessuno accettò alcuna delle conclusioni reali (a meno che non le avessero già afferrate prima). Questo è giusto, come lo erano le sue osservazioni sul significato.
I propositori della “teoria” e della “filosofia” hanno un compito molto facile per sostenere la loro causa. Devono semplicemente rendermi edotto su ciò che per me era e resta un segreto; sarei felice di darci un’occhiata. Ho fatto questa richiesta tante volte e aspetto ancora una risposta, che dovrebbe essere facile da fornire: fatemi semplicemente un esempio di un corpo di teorie, testato e verificato, che si applichi al tipo di problemi e di questioni di cui io, Mike ed altri (di fatto la maggior parte della popolazione mondiale, presumo, al di fuori dei circoli intellettuali ristretti e straordinariamente esclusivi) ci preoccupiamo: i problemi e le questioni di cui scriviamo e parliamo, e di altri simili a questi. Per dirla in un altro modo, dimostratemi che i principi della “teoria” e della “filosofia” che dovremmo studiare e applicare, conducono a conclusioni che noi ed altri non abbiamo ancora raggiunto; per “altri” si intendano quelle persone che non hanno un’educazione formale, che solitamente non hanno problemi a raggiungere quelle stesse conclusioni interagendo tra di loro – oppure per conto proprio – che esulano completamente dalle “oscurità” teoretiche.
Di nuovo, si tratta di richieste semplici. Le ho fatte in precedenza, ma rimango nella mia condizione di ignoranza, e da questo fatto traggo anche alcune conclusioni.
Per quanto riguarda la “decostruzione” in atto (anch’essa citata nel dibattito), non posso dir nulla, perché la maggior parte di essa mi sembra senza senso. Ma se questo è semplicemente un altro segno della mia incapacità a riconoscere le profondità, ciò che si deve fare è chiaro: si possono riformulare i risultati in poche parole che io possa comprendere, e mostrare perché i risultati sono diversi, o migliori, rispetto a quanto altri hanno fatto da molto tempo prima e continuano a fare da allora senza bisogno di parole difficili, frasi incoerenti, ampollosa retorica che (almeno per me) è in gran parte senza senso. Questo potrebbe risolvere le mie lacune, a patto che siano risolvibili; forse non lo sono, una possibilità su cui tornerò in seguito.
Si tratta di richieste elementari da soddisfare, a patto che le affermazioni fatte con tanto fervore ed indignazione abbiano qualche base. Ma piuttosto che cercare di fornire delle risposte a queste semplici richieste, si risponde con pianti di rabbia: sollevare tali questioni è indice di “elitarismo”, “anti-intellettualismo”, e altri crimini – anche se apparentemente non è elitario rimanere all’interno di società di intellettuali che si auto-ammirano reciprocamente, parlano solo tra di loro e (che io sappia) non mettono piede nel mondo in cui io preferisco vivere. Per quanto riguarda quel mondo, posso mostrare i programmi dei miei discorsi e dei miei scritti per mostrare ciò che voglio dire, anche se presumo che molte persone qui lo sappiano o possano facilmente scoprirlo.
Per aggiungere un altro aspetto, sono sommerso da richieste di tenere discorsi e posso accettare solo una minima parte delle richieste che vorrei accettare, quindi propongo altre persone. Stranamente però, non propongo mai i propositori delle “teorie” e della “filosofia”, né mi imbatto in loro nella mia grande esperienza con gruppi popolari e attivisti, organizzazioni, comunità, università, chiese, unioni etc. etc., gruppi di ascoltatori qui e all’estero, donne del terzo mondo, rifugiati, etc.; potrei facilmente fornire degli esempi. Mi chiedo il perché.
L’intero dibattito è quindi piuttosto bizzarro. Da un lato accuse irritate e denunce, dall’altro la richiesta di qualche prova o qualche argomento che le sostenga, che riceve di nuovo risposte irritate, ma sorprendentemente nessuna prova o argomento. Di nuovo, uno si chiede il perché.
E’ assolutamente possibile che mi stia perdendo qualcosa, o che mi manchi la capacità intellettuale per comprendere le profondità portate alla luce negli ultimi 20 anni dagli intellettuali di Parigi e dai loro seguaci. Tengo la mente aperta a questo riguardo, come ho fatto per anni, quando accuse simili mi sono state rivolte, ma nessuna risposta alle mie domande. Ripeto ancora che sono richieste semplici e a cui si può rispondere facilmente, se esiste una risposta; se mi sto perdendo qualcosa, mostratemi di cosa si tratta, con parole che io possa capire. Ovviamente se tutto ciò va al di là della mia comprensione, cosa possibile, significa che sono semplicemente una causa persa, e sarò costretto ad occuparmi di cose che invece sembro comprendere, e di restare legato al tipo di persone che condivide un interesse per queste cose, e sembra comprenderle (cosa che sono felicissimo di fare, non nutrendo alcun interesse verso la cultura intellettuale che si cimenta in queste cose, e apparentemente in poco altro).
Dal momento che nessuno è riuscito a mostrarmi che cosa mi stia perdendo, rimane la seconda possibilità: non ci capisco nulla. Posso concedere che sia così, ma resto scettico, per delle buone ragioni. Ci sono molte cose che non capisco, per esempio gli ultimi dibattiti sul fatto se i neutrini abbiano una massa o il modo in cui recentemente sembra si sia dimostrato il teorema di Fermat. Ma dopo 50 anni di esperienza ho imparato due cose: la prima è che posso chiedere ad amici che lavorano in questi campi di spiegarmi le cose in un modo che io possa capirle, e loro possono farlo senza particolari difficoltà. La seconda è che se sono interessato, posso avanzare per imparare di più e arrivare infine a capire.
Ora Derrida, Lacan, Lyotard, Kristeva etc. – anche Foucault, che conoscevo ed apprezzavo e che era in qualche modo diverso dagli altri – scrivono cose che ancora una volta non capisco, con la differenza che in questo caso le due cose di cui parlavo prima sembrano non valere. Nessuno di quelli che capiscono queste cose riesce a spiegarmele, e personalmente non ho la minima idea di come fare a rimediare ai miei fallimenti. Questo lascia due possibilità: che ci sia stato un qualche nuovo avanzamento nella vita intellettuale, forse una qualche improvvisa mutazione genetica, che ha creato una forma di “teoria” ben più profonda e complessa della teoria dei quanti, della topologia etc., oppure qualcosa che evito di dire.
Di nuovo, ho vissuto per 50 anni in questi ambiti, ho fatto un discreto lavoro personale nel campo  filosofico ed in quello scientifico, così come nella storia intellettuale, e possiedo una discreta quantità di conoscenza della cultura intellettuale nelle scienze, umane e sociali, e nelle arti. Questo mi ha fornito la possibilità di sviluppare le mie personali conclusioni sulla vita intellettuale, che non dirò qui. Ma per quanto riguarda gli altri, mi limito a suggerire che voi chiediate a quelli che vi parlano delle meraviglie della “teoria” e della “filosofia” di giustificare le loro affermazioni – di fare quindi quello che altre persone che lavorano nell’ambito della fisica, della matematica, della biologia, della linguistica e in altri campi, sono molto felici di fare quando qualcuno gli chiede, seriamente, quali siano i principi delle loro teorie, su quali prove si basino, cosa spieghino in più rispetto a quanto era già risaputo e via dicendo. Queste sono richieste legittime che chiunque dovrebbe poter fare. Se non possono essere soddisfatte, propongo di ricorrere al consiglio che Hume ha dato in circostanze simili: rivolgersi alle fiamme.
Faccio un commento specifico. Phetland mi ha chiesto a chi io mi riferisca quando parlo della Scuola di Parigi o ai “culti postmoderni”. Quello qui sopra è un esempio. Quindi mi ha giustamente chiesto perché io fossi così sprezzante in proposito. Prendiamo, per esempio Derrida. Comincio col dire che non mi piace fare questo genere di osservazioni senza fornire prove, ma dubito che i partecipanti vogliano un’analisi approfondita di De Saussure in questa discussione, e non ho intenzione di intraprenderla. Non direi queste cose se non mi avessero esplicitamente chiesto la mia opinione; se mi chiedessero di tornarci sopra, risponderei che non credo la questioni meriti troppo tempo.
Quindi prendiamo Derrida, uno dei vecchi saggi. Pensavo di dover quantomeno essere capace di comprendere la sua “grammatologia”, quindi ho provato a leggerla. Sono venuto a capo di qualcosa, per esempio l’analisi critica dei testi classici, che conoscevo molto bene e a proposito di cui avevo scritto anni prima. Ho trovato lo studio spaventoso, fondato su penosi fraintendimenti; e gli argomenti forniti non si avvicinavano nemmeno agli standard a cui ero abituato praticamente fin dall’infanzia. Forse mi sono perso qualcosa, può essere, ma come ho detto restano i sospetti. Di nuovo, mi dispiace fare osservazioni non supportate da riferimenti, ma visto che mi è stato chiesto, sto rispondendo.
Alcune delle persone all’interno di questi “culti” (io li vedo come tali) le ho incontrate: Foucault (abbiamo persino avuto una discussione di molte ore, adesso in stampa, e abbiamo trascorso molto tempo in una discussione molto piacevole su questioni concrete, utilizzando un linguaggio perfettamente comprensibile; lui parlando in francese, io in inglese); Lacan (che ho incontrato molto spesso e consideravo un divertente e perfettamente auto-consapevole ciarlatano, sebbene i suoi primi lavori “pre-cult”, erano decisamente sensati e ne ho scritto in proposito); Kristeva (che ho incontrato brevemente nel periodo in cui era una fervente maoista); e altri. Molti di loro non li ho incontrati, in quanto per scelta resto molto distante da questi circoli, preferendo circoli molto diversi e più ampi, del tipo di quelli dove tengo discorsi, rilascio interviste, partecipo ad attività, scrivo dozzine di lunghe lettere ogni settimana, etc.  Mi sono immerso nelle loro scritture per curiosità, ma non sono andato molto avanti, per ragioni già esposte; ciò che trovo è estremamente pretenzioso, ma ad un’analisi più accurata, la maggior parte di esso risulta incolto, fondato su straordinari fraintendimenti di testi che conosco molto bene (o che in qualche caso ho scritto io), molte affermazioni sono banali (sebbene agghindate in un linguaggio complesso), oppure false; ed una gran quantità di cose non ha alcun senso. Quando mi addentro in altri campi di difficile comprensione mi imbatto negli stessi problemi menzionati nei due punti precedenti. Quindi ecco a chi mi riferisco, ed ecco perché non proseguo oltre un certo limite. Posso elencare molti altri nomi se la cosa non fosse chiara.
Per chi fosse interessato ad una descrizione letteraria che riflette più o meno le stesse impressioni (ma dall’interno), posso suggerire David Lodge. Credo che centri il bersaglio.
Phetland ha inoltre trovato particolarmente sconcertante il fatto che io sia così bruscamente sprezzante nei confronti di questi circoli intellettuali, mentre impiego molto tempo a mostrare le ostentazioni e gli inganni del New York Times. Perché non sottoporre questi filosofi al medesimo trattamento? Domanda giusta. E ci sono risposte molto semplici. Ciò che appare nel lavoro di cui mi occupo (New York Times, giornali di opinione, studi, etc.) è scritto in modo semplice, in una prosa comprensibile e ha un grande impatto sul mondo, poiché stabilisce le cornici dottrinali all’interno delle quali il pensiero e l’espressione vengono iscritte nei sistemi dottrinali funzionanti come il nostro. Tutto questo ha un grande impatto su quanto accade alle persone sofferenti in giro per il mondo, quelle di cui io mi interesso, distinguendole da quelle che vivono nel mondo descritto secondo me accuratamente da Lodge. Questo lavoro va trattato in modo serio, quantomeno se si è interessati alle persone comuni ed i loro problemi. I lavori di cui parla Phetland non hanno nessuna di queste caratteristiche per quanto io sappia. Certamente non hanno un impatto paragonabile sul mondo, in quanto si rivolgono esclusivamente ad altri intellettuali all’interno del medesimo circolo. Inoltre non si fa alcuno sforzo per rendere quei lavori comprensibili alla maggior parte della popolazione (le persone a cui parlo, che incontro e a cui scrivo lettere, a cui penso quando scrivo e che sembrano capire senza difficoltà quello che dico, sebbene mostrino le mie stesse lacune cognitive quando devono affrontare i culti postmoderni). Che mi risulti inoltre non si fa nessuno sforzo per mostrare come i culti postmoderni si possano applicare a qualunque cosa nel mondo inteso come ho detto prima: conclusioni elementari che non fossero già ovvie. Considerato che non sono molto interessato al modo in cui gli intellettuali enfiano la propria reputazione, guadagnano prestigio e privilegio e si disimpegnano dalla partecipazione alle lotte popolari, non ci perdo sopra il mio tempo.
Phetland suggerisce di cominciare con Foucault, che come ho ripetutamente scritto, è in qualche modo diverso dagli altri, per due ragioni: almeno una parte di quanto ha scritto trovo sia comprensibile, anche se in generale non molto interessante; in secondo luogo non era personalmente disimpegnato e non si limitava ad interagire esclusivamente con altri membri dei medesimi circoli di elite altamente privilegiati. Phetland fa esattamente quanto ho richiesto: fornisce alcuni esempi del perché egli ritiene importante il lavoro di Foucault. Questo è esattamente il modo di procedere, e credo possa aiutare a comprendere perché sono così sprezzante o disinteressato relativamente alla questione, o la ragione per cui non ci presto attenzione.
Ciò che Phetland descrive in modo certamente accurato dell’opera di Foucault, mi sembra privo di importanza, perché si tratta di cose che sapevano già tutti, fatta eccezione per alcuni dettagli di storia sociale ed intellettuale. Ma a proposito di questi dettagli, suggerirei un po’ di cautela: una parte di ciò è un settore in cui io stesso ho lavorato molto, e so che gli studi di Foucault non sono affidabili, per questa ragione non mi fido, senza un’indagine indipendente, di quanto Foucault fa in campi che invece non conosco – questo emerge parzialmente nella discussione del 1972 attualmente in stampa. Penso ci siano studi molto migliori sul Diciassettesimo ed il Diciottesimo secolo, e mi attengo a questi oltre che alla mia personale ricerca. Ma mettiamo da parte i lavori storici e torniamo ai “costrutti teorici” ed alle spiegazioni: c’è stato un grande cambiamento da meccanismi di repressione molto violenti, verso meccanismi più sottili attraverso cui le persone sono spinte a fare ciò che i potenti vogliono che facciano, persino con entusiasmo. Questo mi sembra piuttosto vero, mi sembra decisamente lapalissiano. Se questa è una teoria, tutte le mie critiche sono sbagliate. Ho anch’io una teoria, poiché ho ripetuto questa cosa per anni, fornendo anche le ragioni ed il retroterra storico, ma senza descriverla come una “teoria” (perché non si merita questo termine), senza nessuna oscura retorica (perché è un’affermazione elementare) e senza pretendere che fosse una novità (perché è lampante). E’ ampiamente risaputo da molto tempo che man mano che il potere di controllo e di costrizione è diminuito, diventa necessario ricorrere a ciò che i professionisti delle relazioni pubbliche d’inizio 900 – che avevano capito benissimo tutto ciò – chiamavano “il controllo della mente pubblica”. Le ragioni, come ha osservato Hume nel Diciottesimo Secolo, sono che “la sottomissione implicita con cui gli uomini sottomettono le proprie passioni ed i propri sentimenti a quelli dei propri sovrani” si fonda sostanzialmente sul controllo degli atteggiamenti e delle opinioni. Per quale ragione queste evidenze ovvie debbano diventare improvvisamente “teoria” o “filosofia” lo deve spiegare qualcun’altro; Hume ne avrebbe riso.
Alcuni degli esempi di Foucault, come quelle sulle pene inferte nel Diciottesimo Secolo, sembrano interessanti e vale la pena indagarne l’accuratezza. Ma la “teoria” non è altro che una riformulazione estremamente complessa e pomposa di quanto altri hanno espresso in modo molto semplice e senza la pretesa che vi fosse qualcosa di particolarmente profondo in quanto sostenevano. Non c’è nulla in quanto descritto da Phetland su cui io non abbia scritto per 35 anni, fornendo inoltre una grande mole di documentazione per mostrare come quanto sostenevo fosse sempre piuttosto ovvio e si discostasse molto poco dalla verità ovvia. La parte interessante di queste banalità non è il principio, che è decisamente chiaro, ma la dimostrazione di come esso funzioni in rapporto a casi specifici che rivestono una grande importanza per le persone; ad esempio l’intervento e l’aggressione, lo sfruttamento ed il terrore, le truffe del “libero mercato” e via dicendo. Tutto questo non lo trovo in Foucault, lo trovo invece nelle moltissime persone che sembrano capaci di scrivere frasi che io posso capire e che non vengono collocate nel firmamento intellettuale in qualità di “teorici”.
Per farmi capire, Phetland sta facendo in questo caso la cosa giusta: mostrare quelle che a lui sembrano delle intuizioni interessanti e degli importanti costrutti teorici nell’opera di Foucault. Il mio problema è che le intuizioni mi paiono piuttosto note e non ci sono “costrutti teorici” fatta eccezione per quelle semplici e note idee travestite da retorica complicata e pretenziosa. Phetland chiede se io creda che tutto ciò sia “sbagliato, inutile e ostentato”. No. Le parti storiche sembrano talvolta interessanti, sebbene in questo caso la cautela e la verifica indipendente di quanto affermato siano ancora più importanti che in altri casi. Le parti che riformulano quanto appare ovvio da molto tempo, ma che è stato già formulato prima in termini decisamente più semplici non sono inutili, anzi sono utili, ed è per questo che io ed altri abbiamo più o meno sempre sostenuto le stesse cose. Quanto all’ostentazione, una buona parte secondo me lo è, ma non do necessariamente la colpa a Foucault per questo: è una parte profondamente radicata nella cultura intellettuale corrotta di Parigi e lui ci è cascato dentro in modo naturale, sebbene gli vada riconosciuto il fatto di esserne distanziato. Per quanto riguarda la “corruzione” di questa cultura fin dalla Seconda Guerra Mondiale, questo è un altro argomento che ho discusso altrove e su cui non mi soffermerò qui, non vedo perché le persone che partecipano a questa discussione dovrebbero esservi interessate, esattamente come non ne sono interessato io. Ci sono cose più importanti da fare, secondo me, che indagare sulle caratteristiche degli intellettuali d’élite impegnati nelle loro carriere e altri attività all’interno dei loro circoli ristretti e per quanto mi riguarda decisamente poco interessanti. È una questione ampia e sottolineo ancora come sia ingiusto fare queste affermazioni senza dimostrarle: ma mi è stato chiesto e quindi ho risposto ai punti specifici che sono stati sollevati. Quando mi chiedono la mia opinione generale non posso che rispondere, e se si parla di qualcosa di più specifico, posso occuparmene. Ma non farò un saggio su argomenti che non mi interessano.
A meno che qualcuno possa rispondere alle semplici domande che emergono immediatamente nella mente di qualsiasi persona ragionevole quando si sollevano affermazioni sulla “teoria” e la “filosofia”, mi limiterò al lavoro che mi sembra sensato e illuminante, e alle persone che sono interessate a capire e cambiare il mondo.
John ha fatto notare che un linguaggio semplice non è sufficiente quando il quadro di riferimento è inaccessibile a chi ascolta; giusto ed importante. Ma la reazione giusta non è di affidarsi ad un linguaggio oscuro ed inutilmente complesso e ad ostentazioni a proposito di inesistenti “teorie”. Piuttosto, bisognerebbe domandare a chi ascolta di mettere in discussione il quadro di riferimento che lui o lei sta accettando, e di suggerire alternative da prendere in considerazione, tutte in un linguaggio semplice. Non ho mai trovato che questo fosse un problema parlando con persone a cui manca molta o spesso tutta l’educazione formale, mentre la cosa diventa più difficile man mano che aumenta il livello di scolarizzazione, poiché l’indottrinamento è molto più profondo, e la scelta di obbedienza, che costituisce una buona fetta dell’educazione elitaria, ha richiesto il suo tributo. John sostiene che al di fuori dei circoli simili a questo, io sono sostanzialmente incomprensibile. Tutto ciò contrasta decisamente con l’ampia esperienza che ho con tutti i tipi di pubblico. La mia esperienza è piuttosto quella che ho appena descritto. L’incomprensibilità corrisponde più o meno al livello educativo. Prendiamo i discorsi alla radio. Vi partecipo spesso e di solito è piuttosto facile capire – dagli accenti o cose così – il tipo di pubblico che vi partecipa. Ho ripetutamente trovato che quando il pubblico è povero e con una bassa scolarità, posso scartare la maggior parte dei retroscena e dei “quadri di riferimento” perché appaiono già ovvi e scontati a tutti, e posso così procedere ai fatti di cui ci occupiamo. Con i pubblici più scolarizzati questo è molto più difficile; è necessario sganciarsi da molte costruzioni ideologiche.
È sicuramente vero che molte persone non possono leggere i miei libri. Questo non succede perché le idee o il linguaggio utilizzato siano complicati; non abbiamo nessun problema in discussioni informali sugli stessi argomenti e persino usando le stesse parole. Le ragioni sono diverse, probabilmente in parte è colpa del mio stile di scrittura, in parte è il risultato del bisogno (che almeno io sento di avere) di presentare una documentazione molto ampia, che appesantisce la lettura. Per questa ragione, un certo numero di persone ha preso lo stesso materiale e l’ha messo in forma di pamphlet etc. etc. Nessuno sembra avere grossi problemi – sebbene di nuovo, i critici del Times Literary Supplement o di riviste accademiche professionali sembrano non capirci nulla. A volte è piuttosto comico.
Un ultima cosa, qualcosa su cui ho scritto altrove (ad esempio in una discussione su Z papers, e l’ultimo capitolo di “Year 501”). C’è stato, recentemente, un cambiamento impressionante nel comportamento della classe intellettuale. Gli intellettuali di sinistra che 60 anni fa avrebbero insegnato nelle scuole delle classi lavoratrici, o avrebbero scritto libri come “la matematica per tutti” (che rese la matematica comprensibile a milioni di persone), o partecipato e parlato in organizzazioni popolari etc., oggi si disinteressano ampiamente di queste attività, e sebbene sostengano di essere molto più radicali di noi, non sembrano essere reperibili quando c’è una così ovvia e crescente necessità o richiesta esplicita del lavoro che potrebbero fare qui nel mondo dove vivono le persone con i loro problemi e le loro preoccupazioni concrete. Questo non è un problema da poco. Questo paese, proprio ora, si trova in una situazione molto strana e pericolosa. Le persone sono spaventate, arrabbiate, disilluse, scettiche, confuse. Questo è il sogno di ogni governante, come ha detto una volta Mike. Costituisce un terreno fertile per demagoghi e fanatici, che possono ottenere un grande sostegno popolare (ed infatti lo ottengono) diffondendo messaggi non molto diversi da quelli dei loro predecessori in circostanze storiche simili. Sappiamo tutti come sono andate a finire le cose in passato; potrebbe succedere di nuovo. C’è un grande vuoto che una volta era almeno parzialmente colmato dagli intellettuali di sinistra, che avevano la volontà di impegnarsi con le persone ed i loro problemi. Tutto ciò, secondo me, ha implicazioni sinistre.

1 commento:

  1. "Questo poco, come ho scritto, è talvolta sicuramente interessante, ma privo di conseguenze per i problemi del mondo reale che occupano il mio tempo e le mie energie."
    Queste brevi righe rendono perfettamente l'idea del postmodernismo

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