di
Marc McDonald (da Beggars
Can Be Choosers)
traduzione
di Domenico D'Amico
Fonte Immagine |
Grazie
a due decenni di sforzi indefessi da parte di storici revisionisti,
Ronadl Reagan si è visto accreditare molti successi di cui non è
stato minimamente responsabile. La “vittoria” nella Guerra Fredda
ne costituisce un buon esempio.
Nella
realtà le scelte politiche di Reagan hanno poco o nulla a che fare
con il collasso dell'Unione Sovietica. Difatti, l'ultima cosa
che il Complesso Militare Industriale avesse mai desiderato era la
fine della Guerra Fredda (e con essa la fine della cuccagna da
trilioni di dollari dei contratti per la “difesa”).
D'altro
canto, si dovrebbe riconoscere a Reagan il merito per qualcosa
che ha conseguito realmente: porre le basi preparatorie per la fine
del capitalismo per come lo conosciamo.
Il
capitalismo ha sperimentato la sua prima esperienza di pre-morte
durante la Grande Depressione. Ironicamente, venne salvato dal
presidente più progressista che gli Stati Uniti abbiano mai avuto:
Franklin D. Roosevelt. Sebbene venisse attaccato dalla comunità
d'affari dell'epoca, il New Deal di FDR di fatto rianimò il
capitalismo e gli infuse nuova vita. Il New Deal creò la Grande
Classe Media Americana: decine di milioni di lavoratori ben
retribuiti che avevano materialmente in tasca il denaro per
acquistare le merci prodotte dal sistema.
Si
trattò di uno straordinario accomodamento che rese l'America una
superpotenza e per molti decenni la nazione più invidiata del
pianeta.
In
ogni caso, i ricchi d'America non dimenticarono mai il loro odio per
FDR e il New Deal – a dispetto del fatto che quest'ultimo avesse
salvato il capitalismo da se stesso. I ricchi e i potenti brigarono
senza sosta per abolire il New Deal, e nel 1980, con l'elezione di
Reagan, videro finalmente la possibilità di iniziare ad attaccarlo –
un processo tuttora in corso.
Col
governo Reagan sia le prerogative della classe media sia i programmi
di assistenza per i poveri subirono un taglio. E i radicali
cambiamenti nella politica fiscale cominciarono a privilegiare i
molto ricchi, a spese di classe media e poveri. Inoltre sindacato e
diritto del lavoro vennero smantellati. Per finire, sotto le
disastrose politiche reaganiane di “libero scambio”, l'America
iniziò a delocalizzare oltremare tutti i posti di lavoro ben
remunerati nel settore secondario.
Il
risultato di tutto questo fu che, sotto Reagan, la Grande Classe
Media Americana iniziò a rimpicciolire – un processo che continua
tuttora. E con una classe media tanto impoverita, il capitalismo
statunitense conosce una crisi di vaste proporzioni, dato che sempre
meno consumatori sono in grado di acquistare i beni prodotti dal
sistema.
Quest'ultima
è una componente cruciale del capitalismo che, curiosamente, è
stata a lungo trascurata dagli zeloti del “libero mercato” della
Scuola di Chicago, che da sempre hanno esaltato un'economia
completamente deregolamentata. Trovo interessante come simili zeloti
siano sempre tanto angosciati dal flagello delle troppe tasse e
troppe norme che opprimono i ricchi (che secondo loro sono l'unico
elemento necessario per un capitalismo di successo).
Ovviamente,
quello che questi zeloti non vedono dalle loro torri d'avorio è che
il capitalismo semplicemente non può sopravvivere senza una robusta
e vitale classe media che acquisti le merci prodotte dal sistema.
Sebbene
le politiche di Reagan avessero minato la classe media statunitense,
il danno fatale subito dal capitalismo non divenne evidente se non
molto tempo dopo. Questo perché l'intera crisi venne mascherata
dalla scelta di un consumo finanziato dal debito, il quale creava
l'illusione della prosperità.
Durante
la presidenza di Reagan, l'America smise semplicemente di pagare le
bollette. Il governo cominciò a prendere in prestito centinaia di
miliardi di dollari da paesi come il Giappone. E i consumatori, per i
loro acquisti, usavano sempre di più le carte di credito al posto
dei contanti.
Per
ultime arrivarono una serie di bolle che crearono l'ulteriore
illusione di un'economia americana più in salute di quanto lo fosse
in realtà, incluse quella delle Dot Com e la più recente, quella
immobiliare.
Va
da sé, l'intera truffa piramidale collassò nel 2008. Da allora,
l'economia statunitense è in sala rianimazione. La nazione continua
a sprofondare nei debiti, perfino mentre il dollaro subisce ribassi
mai visti prima. La classe media è praticamente estinta, insieme ai
posti di lavoro ben retribuiti che un tempo contribuirono a rendere
quella americana l'economia più forte della terra.
Virtualmente
tutto questo è un'eredità delle politiche reaganiane. E a
differenza di quanto accadde con la prima esperienza di pre-morte del
capitalismo, quella degli anni 30, è estremamente improbabile che
appaia all'orizzonte un altro FDR pronto a infondere nuova vita
all'intero sistema. Nella nostra epoca di sentenze [favorevoli agli
interessi delle corporation] come la Citizen United, questo
non avverrà mai.
Reagan
(o, per essere più precisi, i suoi ricchi sostenitori) in origine
voleva demolire il New Deal e far tornare gli Stati Uniti a una forma
di capitalismo senza regole, tipo homo homini lupus, da XIX
Secolo. Speravano che ciò avrebbe sospinto il capitalismo verso
nuove vette. Ma ignorando nei loro calcoli il ruolo dei consumi della
classe media, involontariamente danneggiarono gravemente lo stesso
capitalismo, e trasformarono l'America in una potenza di seconda
categoria.
Gli
effetti distruttivi dell'eredità reaganiana continuano sotto i
nostri occhi. I gravi problemi che cominciarono a emergere durante la
sua presidenza (deficit fiscale e commerciale senza controllo, classe
media in declino, perdita di posti di lavoro qualificati e dollaro in
picchiata) arrivano fino a noi.
Naturalmente,
la classe benestante continua a tutt'oggi a denegare che la cuccagna
capitalista sia ormai finita. Continua ad aggrapparsi alla speranza
che la crisi causata dal collasso del 2008 alla fine verrà superata
e che il capitalismo in qualche modo sopravviverà.
Il
problema è che i posti di lavoro ben pagati nel settore
manifatturiero sono perduti, e non torneranno. E la tanto decantata
economia dei servizi che avrebbe dovuto prenderne il posto si è
dimostrata un misero surrogato, offrendo perlopiù paghe e indennità
inferiori. Infatti, a tutt'oggi, l'America continua a perdere i pochi
buoni posti di lavoro superstiti, grazie alla totale assenza di
qualsiasi intelligente politica di scambio commerciale.
Di
più, dato un dollaro sempre più debole e un deficit fiscale e
commerciale sempre crescente, il peso dell'America nel contesto
mondiale non fa che diminuire. Nel corso di tutto il secondo
dopoguerra l'America non doveva far altro che stampare dollari per
salvarsi dalle crisi economiche, dato che il dollaro era la valuta di
riserva di tutto il mondo. Tale periodo, chiaramente, si avvicina
alla fine.
Col
declino del dollaro l'America sarà una nazione molto più debole e
molto meno ricca. Durante l'intero secondo dopoguerra l'America è
stata la pietra angolare del capitalismo. Col discredito di
quest'ultimo, è evidente che il resto del mondo stia allontanandosi
sempre di più dal modello economico statunitense, e inizi a guardare
come nuovi punti di riferimento a economie regolate e tecnocratiche
come quelle di Cina e Singapore.
L'era
di Reagan non solo ha decretato la fine del capitalismo, ma la sua
eredità avvelenata ha fatto sì che l'America troverà estremamente
difficile risollevarsi dalle crisi determinate dalla sua
amministrazione. Si va dal deterioramento dell'istruzione pubblica
dovuta ai tagli di bilancio di Reagan alle decadenti infrastrutture
del paese. Questi due fattori da soli renderanno per i prossimi anni
sempre più difficile, per gli Stati Uniti, competere a livello
globale.
Ma
l'eredità più venefica di Reagan forse è stata l'abolizione della
Fairness Doctrine [1]. Questo fece sì che i grandi media
americani, in maniera sempre crescente, fossero poco più che
portavoce dei potentati economici. Gli americano di oggi sono
disperatamente disinformati su tutti i problemi di attualità. E una
nazione disinformata troverà difficile avviare i passi necessari a
rimediare alle crisi scatenate dalle politiche reaganiane.
nota
del traduttore
[1]
La Fairness Doctrine
(abolita nel 1987) andava molto al di là della nostra par condicio:
“Più in generale, ed anche con riferimento a periodi non
elettorali, ha avuto vigore negli Stati Uniti la cd
fairness
doctrine (letteralmente dottrina dell'imparzialità);
questa fu canonizzata dalla FCC nel 1949, benché alcune applicazioni
dei principi propri di tale dottrina avessero già trovato
applicazione nel corso dei tardi anni '30 e negli anni '40 ad opera
di alcune decisioni della FCC. Tuttavia, la sua affermazione
autoritativa è contenuta nella relazione della FCC sulle politiche
editoriali delle emittenti televisive. In questo rapporto la FCC
sostenne la 'responsabilità
in capo ai licenziatari di mettere a disposizione ragionevoli spazi
per la messa in onda (...) di programmi dedicati alla discussione ed
all'esame di argomenti di pubblico interesse"
e stabiliva inoltre che il licenziatario doveva "operare
attenendosi ad una completa imparzialità, mettendo le proprie
strutture a disposizione dell'espressione delle visioni contrastanti
di tutti gli elementi responsabili della comunità sui vari oggetti
di pubblico dibattito che dovessero sorgere'.”
[Ordine dei Giornalisti -
Lombardia]
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