[nota
del traduttore – Quest'articolo è interessante, pur essendo del
2011, perché la Lettonia ha molto da insegnarci. Come si riferisce
nella nota 2, non ha importanza chi vinca le elezioni, l'austerità
deve proseguire finché i debitori non avranno recuperato i
loro soldi. Ed è anche un monito: l'organizzazione terroristica dei
sostenitori (teorici e politici, propagandisti e lobbisti,
marchettari e portatori d'acqua) dell'austerity non ha il minimo
scrupolo di portare intere nazioni addirittura alla loro
dissoluzione. Prendete nota per le vicine elezioni]
Anders
Åslund, insieme ad altri cantori dell'austerità, esalta la Lettonia
come testimonial a favore dei grandi tagli. Niente di più lontano
dalla verità
I
dati dello scorso mese rivelano che la crisi economica globale
continua a peggiorare, e per durata e intensità rischia di diventare
nota come la Seconda Grande Depressione. Eppure, sebbene sia evidente
che la maggior parte delle nostre difficoltà sia derivata da una
finanza impazzita, molti opinionisti dichiarano che la colpa è delle
vittime, cioè il pubblico. Invece di mettere un freno alla finanza,
consigliano ai governi di imporre radicali misure di austerità, il
che, in questo contesto economico, equivale a gettare un'ancora alle
vittime che annegano, e invece un salvagente zeppo di soldi ai
colpevoli del naufragio.
Secondo
Robert Samuelson (sul Washington
Post) la soluzione dichiarata alla crisi mondiale, una
soluzione sconcertante (finché non ci si chiede “cui bono?”), va
trovata in una delle più piccole (e povere) nazioni dell'Unione
Europea, la Lettonia;
un paese che ha imposto alla sua popolazione uno dei regimi di
austerità più brutali del mondo, le cui politiche hanno spinto la
nazione quasi al collasso demografico. La Lettonia ha una popolazione
con un alto livello d'istruzione, e ha punti in comune con i paesi
scandinavi, tra i più ricchi del mondo. Ha anche la fortuna di
possedere porti intensamente trafficati. Ma ha anche una parità di
potere d'acquisto [1] pro-capite che è metà di quello della Grecia
e solo marginalmente superiore a quella della Bielorussia,
politicamente isolata e priva di sbocchi sul mare.
E
tuttavia questo è il modello che i banchieri e i loro compari nei
governi e negli ambienti che contano vogliono che gli altri paesi
imitino. I commentatori che promuovono la soluzione lettone,
comunque, non capiscono (o scelgono di non capire) né quel paese né
le conseguenze delle sue politiche d'austerità. Non solo insistono
nel dire che l'austerità lettone era necessaria, ma che si è
trattato del primo paese in cui la popolazione ha approvato quel tipo
di misure. La storia, dunque, sarebbe che gli elettori possono
mostrarsi “maturi” e “ragionevoli”, e che perciò i politici
non devono temere di imporre l'austerità a una collettività
adeguatamente “educata”. Queste affermazioni sono sia false sia
pericolose, eppure ottengono sempre più credito.
La
realtà è che la Lettonia, dopo aver sperimentato la peggiore
contrazione economica nel contesto della crisi del 2008, ora ha
prodotto il piccolo balzo che fa un gatto morto quando finalmente si
schianta sul selciato. Il modesto rialzo del tasso di crescita è
principalmente una conseguenza della domanda svedese per il legname
lettone. Le prospettive economiche a lungo termine rimangono
ugualmente piuttosto grame.
Inoltre,
la riscrittura della storia recente della Lettonia fatta da Samuelson
e altri opinionisti, che sostengono che la popolazione abbia
approvato l'austerità, è contraddetta dalle proteste di massa
scatenatesi sin dall'inizio della crisi. Quando le proteste si sono
dimostrate inette al cambiamento, il popolo ha reagito votando con i
piedi e ha lasciato il paese. In effetti, se combinata col basso
tasso di natalità, l'emigrazione lettone sta innescando una sorta di
eutanasia demografica che mette a rischio la stessa esistenza della
nazione. In aggiunta, il partito politico che ha gestito il programma
di austerità risulta terzo, e con un bel distacco, nei sondaggi per
le elezioni nazionali del 17
settembre [2011] [2]. Data questa rovinosa serie di fallimenti
del regime di austerità lettone, viene da chiedersi da dove venga
questa percezione di successo economico e sostegno popolare.
Ogni
crisi attira gli opportunisti e ogni fallimento aumenta il desiderio
di un “secondo atto” alla Scott Fitzgerald [3]. Con la crisi
economica della Lettonia, entrambi i profili si sono fusi nel
consulente economico viaggiante (a spese del sistema bancario) Anders
Åslund. Nella corsa verso la Seconda Grande Depressione, la
Lettonia ha conosciuto la peggiore delle orgie debitorie e quindi il
più terribile dei crolli. La crisi del 2008 ha colpito con più
durezza proprio i paesi che seguivano il tipo di economia politica
neo-liberista di Åslund, che negli anni 90 l'aveva spacciato nel
blocco dell'ex Unione Sovietica. In Lettonia la crisi del 2008, in
ogni caso, fornì ad Åslund l'opportunità di rigenerare la sua
reputazione di analista politico e consulente, scovando allo stesso
tempo, in banche e governi, i “dottori” desiderosi di
amministrare la sua tossica medicina d'austerità contro la crisi
economica.
Åslund
dipinge
l'austerità come una narrazione vincente – tanto vincente da
fornire un modello che sia l'Europa
sia gli Stati Uniti dovrebbero imitare. Inoltre la sua narrazione ha
introdotto nel lessico economico l'espressione “svalutazione
interna”. Questa politica viene presentata agli altri membri
dell'Eurozona come
un metodo per tenere a galla l'euro, e ai candidati membri un mezzo
per evitare il deprezzamento delle loro valute, nella prospettiva di
una futura inclusione nell'Eurozona. I suoi sostenitori consigliano
di abbattere i salari e i sussidi, facendo così diminuire la spesa
pubblica. Questo è un programma che stabilizza la spesa generale per
il debito pubblico e privato, evitando ai banchieri l'inconveniente
di un “taglio di capelli” – altro neologismo creato dalla lobby
bancaria.
In
sintesi, le banche vengono pagate, ed è il pubblico a pagare il
conto. Per la finanza questa sembrerebbe una soluzione netta e
precisa del problema – far pagare al pubblico l'enorme debito che
grava sull'economia, riducendo i suoi consumi. Sfortunatamente,
mentre tutto questo è utile al settore bancario, uccide l'economia
reale attraverso la riduzione della domanda, facendo tornare così la
Lettonia a una sorta di servitù da debito – una condizione alla
quale i lettoni credevano di essere sfuggiti all'inizio del XIX
Secolo. È notevole il fatto che Åslund stia facendo il suo giro
d'onore vantandosi dell'ideazione di questo piano deleterio. Il suo
“successo” si è materializzato in un libro, Come la Lettonia
Ha Superato la Crisi Politica [How Latvia Came Through the
Political Crisis] (pdf)
pubblicato dal Petersen Institute (finanziato dalle banche), che ha
come co-autore il primo ministro lettone, quello dell'austerity,
Valdis Dombrovskis. Åslund afferma che per le travagliate economie
europee il lungo inverno della crisi economica, protagonisti i Pigs
(Grecia e altri), si sta avviando alla fine. Le Campane [Bells] [4],
secondo Åslund e Dombrovskis, hanno annunciato una nuova stagione di
speranza, mostrando la via d'uscita dalla crisi alle economie
europee in difficoltà.
In
questo modo il libro è diventato una specie di galateo per gli
economisti neoliberisti che cercano di dimostrare che l'austerità
funziona. Secondo Åslund e Samuelson, e altri adepti del
neoliberismo, tutti i paesi dovrebbero imitare il modo in cui
Lettonia e Irlanda hanno pagato il debito alle banche, a costo di
vedere le loro economie ristagnare e il tessuto sociale disgregarsi.
Nel
frattempo altri, come gli elettori islandesi, hanno rifiutato il
neoliberismo e ritengono che l'attrattiva dell'Eurozona abbia perso
il suo smalto, mentre i greci fanno scioperi generali per spingere
all'uscita dall'euro, se questo è il prezzo da pagare per evitare la
servitù del debito, l'austerità e le privatizzazioni-svendita fatte
per pagare le banche straniere che hanno fatto quelli che appaiono
come prestiti irresponsabili.
Perciò
domandiamoci in cosa consiste il “successo” della Lettonia. Per
prima cosa, le banche vengono pagate. Non c'è stata nessuna
svalutazione del debito. Questa potrebbe essere una risposta alla
domanda di prima, il cui bono. I lettoni stanno ripagando il
loro debito privato (per gran parte alla Svezia, la patria di Åslund,
un contributo al fatto che la Svezia non abbia subito alcuna crisi
economica). Il costo, tuttavia, consiste in una riduzione del 25% del
PIL lettone, e una riduzione dei salari nel pubblico impiego del 30%,
insieme a una contrazione dei salari nel settore privato dovuta al
taglio della spesa pubblica. E nel contempo i lettoni dovranno farsi
carico dei costi di questo programma, dovendo affrontare i futuri
pagamenti del prestito di più di 4,4 miliardi di euro ottenuti dalla
UE e dal FMI, necessario a mantenere in vita il governo nel corso
della crisi.
I
sostenitori della soluzione lettone, in ogni caso, affermano che la
contrazione dell'economia è terminata, e che si è tornati alla
crescita, seppure modesta, e che il tasso di disoccupazione
finalmente è sceso sotto il 15%. Ma l'emigrazione è stata un
elemento che ha contribuito alla riduzione del tasso di
disoccupazione [5], mentre i finanziamenti per il settore
manifatturiero e al risparmio sono troppo esigui per promuovere una
nuova, robusta crescita. A differenza, per dire, dell'Argentina, che
ha rigettato l'austerità e ha visto la sua economia crescere del 6%
annuo per 6 dei 7 anni successivi alla crisi, la Lettonia non mostra
alcun segno di poter raggiungere cifre simili.
In
secondo luogo c'è l'affermazione di Åslund, che i lettoni hanno
sostenuto il programma di austerità – come dimostrato dal ritorno
al potere del partito dell'austerità, Vienotiba, nelle elezioni
dell'ottobre 2010. Dal punto di vista di chiunque abbia familiarità
con la politica lettone non è successo nulla del genere. Le elezioni
lettoni del 2010 si sono ridotte a una questione di sciovinismo e
nazionalismo puri e semplici. Quella stagione elettorale aveva avuto
un inizio promettente: il partito più o meno di centro-sinistra
Centro dell'Armonia proponeva un piano per la ricostruzione
dell'economia e di riavvicinamento tra le etnie lettone e russa. Alla
fine, tuttavia, la manipolazione da parte del partito dell'austerità
della paura di collegamenti con il Cremlino [del “filorusso”
Centro dell'Armonia – ndt] ha portato a un elettorato
prevedibilmente spaccato lungo linee etniche. A partire dall'anno
scorso, tuttavia, il parlamento lettone, ampiamente pro-austerità,
ha visto il suo tasso di approvazione da parte del pubblico oscillare
tra il 5 e il 15%, difficile da considerare come un'approvazione
entusiastica.
In
sintesi, il popolo lettone e le sue prospettive a lungo termine sono
stati gravemente danneggiati da queste politiche di austerità. Di
conseguenza, l'affermazione che la cittadinanza lettone abbia
sostenuto queste politiche è una fesseria.
Allora,
la Lettonia è davvero in via di guarigione? Ce lo potrà dire solo
il tempo, ma i primi segnali sono pessimi. Demograficamente, la
stessa sopravvivenza del paese sembra a rischio. Economicamente, a
parere dei sostenitori della svalutazione interna, il paese dovrà
risollevarsi ricorrendo alle esportazioni. Eppure, come mostrato
dall'economista Edward
Hugh, solo il 10% dell'economia lettone appartiene al settore
manifatturiero, una enorme differenza dal circa 40% di un'economia
industrializzata come quella tedesca. Lo stesso sottosviluppo
strutturale che le politiche di Åslund hanno sostenuto (nessuna
politica industriale, flat tax [6], affidamento agli investimenti
diretti dall'estero) hanno lasciato la Lettonia priva della base
economica su cui sorreggere una ripresa.
La
buona notizia è che i lettoni hanno cominciato nuovamente a
protestare contro il dominio degli oligarchi, e cercano alternative
all'austerità. Se solo avessero una seria politica economica che
riflettesse la volontà dei cittadini, forse potrebbero realizzare
quelle aspirazioni per cui lottarono tanto coraggiosamente negli
ultimi anni 80, sotto l'occupazione sovietica.
note
del traduttore
[1]
“Le parità di
potere d'acquisto
(PPA;
in inglese Purchasing
Power Parity, PPP)
sono prezzi relativi che esprimono il rapporto tra i prezzi nelle
valute nazionali
degli stessi beni o servizi in paesi diversi.” [Wikipedia]
[2]
I sondaggi erano attendibili: “Il 17 settembre 2011 si sono svolte
le elezioni anticipate del Parlamento unicamerale lettone (Saeima).
Le elezioni hanno visto l’affermazione come partito di maggioranza
relativa, per la prima volta nella storia della Lettonia
indipendente, del partito di sinistra e russofono Centro
dell’Armonia, guidato dal Nils Usakovs, che ha ottenuto il 28,37
per cento dei voti e 31 seggi. Si sono altresì affermati il nuovo
Partito della Riforma fondato dall’ex-presidente della Repubblica
Valdis Zatlers, con il 20,82 per cento dei voti e 22 seggi e Unità,
partito del primo ministro uscente Valdis Dombrovskis, con il 18,83
dei voti e 20 seggi. Una buona affermazione è stata ottenuta anche
da Alleanza Nazionale - Tutti per la Lettonia, movimento di destra
nato dalla fusione tra l’Unione per la Patria e la Libertà e il
partito di estrema destra Tutti per la Lettonia, con il 13,88 per
cento dei voti e 14 seggi. Non è pertanto scontata la partecipazione
del “Centro dell’Armonia” al nuovo governo, poiché vi
potrebbero essere i numeri anche per una coalizione di governo di
centro-destra. L’affluenza alle urne è stata del 60,55 per cento,
con un calo dell’1,45 per cento rispetto alle precedenti elezioni
del 2010.” [dossier
della Camera dei Deputati] Come volevasi dimostrare, il partito di
maggioranza relativa è finito all'opposizione, mentre tutti gli
altri si sono uniti per garantire una maggioranza di 56 seggi su 100
al governo di Valdis Dombrovskis, il presidente uscente, quello che
ha “salvato” il paese dalla crisi con l'austerità. [il
Post]
[3] Il riferimento è a una
frase famosa dello scrittore Francis Scott Fitzgerald: “Nella vita
degli americani non esiste un secondo atto” [“There are no second
acts in American lives”], che sarebbe
presente nelle sue note al romanzo The
Last Tycoon.
[4]
Bells: i paesi (Bulgaria, Estonia, Lettonia e Lituania) dell'ex area
sovietica che hanno agganciato il loro tasso di scambio all'euro
“caschi
il mondo”.
[5]
“I demografi stimano che negli ultimi dieci anni siano emigrate
200.000 persone – all'incirca il 10% della popolazione – a un
ritmo accelerato corrispondente al vigore dell'austerità imposta.
(…) In aggiunta, il tasso di natalità, già basso in origine, è
calato ulteriormente. Se si fa un paragone con gli Stati Uniti, è
come se se ne fossero andati in 30 milioni.” [Latvia’s
Fake Economic Model –
Counterpunch]
[6]
La flat tax piace molto a liberisti,
libertarian,
italo-reaganiani e
austriaci
vari. “Una
volta tolti di mezzo il fumo e i giochi di specchi, ci si rende conto
che quello che la flat tax realizza DAVVERO è l'eliminazione del
concetto di progressività. Quello che intende DAVVERO è che il
ricco pagherà le tasse con la stessa aliquota di chiunque altro.
Ora, tutto questo sarà d'aiuto per chiunque altro o sarà d'aiuto
per il ricco? Il vero obbiettivo è di distruggere il sistema attuale
e introdurre l'idea
della flat tax, che in ultima istanza deve comportare tasse più alte
per chiunque tranne
che per i benestanti.” [The
Jefferson Perspective]
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