martedì 20 marzo 2012

Un milione di economisti può sbagliare

Ricardo e la bufala del Libero Scambio

traduzione di Domenico D'Amico

david ricardo domenico d'amico bufala quack fallacy
 
Non solo la crisi finanziaria globale ha colto la maggior parte degli economisti completamente alla sprovvista, ma al contrario essi si aspettavano un periodo di stabilità ed espansione esattamente nel momento in cui aveva inizio la più grande crisi economica dai tempi della Grande Depressione. Tra questi pareri il mio preferito si può leggere nell'OECD Economic Outlook [Prospettive Economiche dell'OCSE] per il 2007 – in cui il capo economista suggerisce che “la situazione economica in corso è per molti aspetti migliore di quanto abbiamo visto negli ultimi anni... I nostri principali pronostici rimangono effettivamente piuttosto positivi.” Ma di simili erronee previsioni in campo economico, da parte di professionisti che dovrebbero essere fonte di saggezza e conoscenza, ce n'è a bizzeffe.
I beninformati sanno che non si tratta di un insuccesso isolato. Il modello Neoclassico che attualmente domina gli studi economici ridonda di errori sia logici sia empirici. Se l'Economia fosse una vera scienza sarebbe stata da tempo rigettata e sostituita con qualcosa di più aderente alla realtà.
Eppure a tutt'oggi il 90% degli economisti nell'accademia crede in questo modello, così come quasi tutti gli economisti che lavorano nei governi e nel settore privato. Lasciati soli con i loro prediletti pacchetti di misure, continueranno a credere che il modello descriva davvero l'economia, nel mentre l'economia reale sprofonda in una crisi sempre più profonda, anche se quel modello afferma che tutto ciò è impossibile.
Dato che gli economisti non sono stati in grado di dare una pulita alle loro stalle intellettuali, alla fine sarà il pubblico a costringerli a una riforma – visto che pentiti come Anatole Kaletsky (del Times) invoca “una rivoluzione nel pensiero economico”, e George Soros finanzia un Institute for New Economic Thinking.
Con un po' di fortuna, nel giro di un decennio o due potrebbe farsi strada un approccio all'economia più aderente alla realtà. Ma nel frattempo, una dritta per il pubblico: è molto probabile che tutto quello in cui la gran parte degli economisti crede sia sbagliato.
Il che mi porta al “Libero Scambio”. La fede nel Libero Scambio è uno dei segni distintivi non solo della scuola Neoclassica, che nasce negli anni 70 dell'Ottocento, ma anche dell'originale scuola Classica che inizia nel 1776 con Smith. La teoria afferma che il benessere di quasi tutti verrebbe incrementato se ogni paese si specializzasse nell'attività in cui riesce meglio – una proposizione che in apparenza sembrerebbe plausibile, e per sostenerla è stato eretto un formidabile apparato di teoria matematica ed economica.
Sfortunatamente, come tante altre cose in Economia, il modello del Libero Scambio, per citare l'autore satirico H. L. Mencken, è “elegante, plausibile e sbagliata”. Gli errori teorici alla sua base esistevano fin da quando David Ricardo per primo ideò il suo modello dei “vantaggi comparati” durante la battaglia politica per l'abrogazione delle “Corn Laws”, che limitavano l'importazione di cereali in Inghilterra.
Le argomentazioni a favore delle Corn Laws includevano la convinzione che con uno scambio non regolamentato l'industria inglese – in particolare l'agricoltura – sarebbe stata spazzata via dalla concorrenza dei paesi esteri. Ricardo, con un magistrale stratagemma retorico, diede per concessa l'opinione dei suoi avversari, cioè che un paese concorrente (il Portogallo, all'epoca uno dei maggiori rivali dell'Inghilterra) fosse migliore dell'Inghilterra, sia in campo agricolo sia manifatturiero, e proseguì con la “prova” che anche in questo caso l'Inghilterra avrebbe tratto vantaggio dal Libero Scambio.
Ricardo ipotizzò che in Portogallo 80 uomini potessero produrre una certa quantità di vino (diciamo 1000 galloni), laddove per produrre la medesima quantità l'Inghilterra avesse bisogno di 120 uomini, e che il Portogallo fosse più efficiente anche nella produzione di tessuti – impiegando 90 uomini per produrre una certa quantità di tessuto (diciamo 100 iarde quadre di cotone) contro i 100 uomini necessari in Inghilterra.
Senza scambi commerciali, entrambi i paesi avrebbero dovuto produrre autonomamente i due generi di prodotti, cosi che, per ogni 1000 lavoratori, il Portogallo avrebbe prodotto un combinato tra gli estremi di 12.500 galloni di vino e 1.100 iarde di cotone, mentre l'Inghilterra avrebbe prodotto un combinato tra gli estremi di 8.333 galloni di vino e 1000 iarde di tessuto.
Se però il Portogallo si fosse specializzato solo nella produzione di vino e l'Inghilterra solo nella produzione di tessuto, la produzione totale sarebbe stata di 12.500 galloni di vino e di 1000 iarde di tessuto. Il che supera la somma del prodotto delle due nazioni in assenza di scambio. Tramite il Libero Scambio i due paesi si sarebbero specializzati nei loro vantaggi comparati, e il benessere di entrambi sarebbe cresciuto.
Un argomento tanto brillante fu di grande aiuto per l'abrogazione delle Corn Laws, e da allora ha sedotto la quasi totalità degli economisti.
Ma questa semplice e plausibile argomentazione presenta un difetto evidente: per realizzare la sua specializzazione, l'Inghilterra dovrebbe spostare capitale e lavoro dal vino ai tessuti (mentre il Portogallo dovrebbe fare il contrario). La mano d'opera si può certamente riconvertire – un vignaiolo può diventare operaio tessile – ma come si trasforma un pigiatoio in filatoio?
La risposta è scontata: non si può. Invece si venderà il torchio da pigiatura, e con i proventi si comprerà la macchina tessile. Ma a causa dell'introduzione dello Scambio, in Inghilterra il prezzo del vino sarebbe precipitato, così come il prezzo dei torchi (gli economisti hanno modificato il modello di Ricardo, mettendo curve al posto di linee rette, cosicché non si pretende più una specializzazione totale, ma resterebbe ancora un po' di produzione vinicola nell'Inghilterra del “nuovo” modello di Libero Scambio), mentre il prezzo dei filatoi sarebbe salito, date le nuove esportazioni verso il Portogallo. Una certa quantità di capitale verrebbe necessariamente distrutta dall'applicazione dello scambio, e questo si applicherebbe anche al Portogallo.
Data la distruzione di capitale legata alla liberalizzazione degli scambi, il ragionamento a prova di bomba che lo scambio porta di necessità all'aumento della ricchezza materiale mostra una bella incrinatura. Se quella economica fosse una vera scienza, questa difficoltà nell'argomento di Ricardo legata al mondo reale avrebbe ricevuto attenzione, ma non è mai stata seriamente presa in considerazione.
Questa ed altre mancanze spiegano perché, quando Dani Rodrik ha studiato attentamente le conseguenze empiriche della liberalizzazione degli scambi, ha scoperto che essa di frequente ha ridotto la ricchezza materiale piuttosto che incrementarla. Scrivendo nel 2001, Rodrik ha riassunto le sue scoperte per la Foreign Policy Magazine osservando che:
“I fautori dell'integrazione economica globale insistono nella visione utopistica della prosperità che i paesi in via di sviluppo otterrebbero se aprissero le frontiere a merci e capitali. Queste vuote promesse deviano l'attenzione e le risorse dei paesi poveri dalle cruciali innovazioni interne necessarie a stimolare la loro crescita economica.”
Nel suo ruolo di economista specializzato nella dissezione delle asserzioni empiriche a favore del Libero Scambio, Rodrik si ritrova contro la potenza della maggioranza dei professionisti suoi colleghi. Come sottolineato più sopra, questo è un motivo più che valido per dire che Rodrik ha ragione.

Nessun commento:

Posta un commento

Il racconto truccato del conflitto previdenziale

di Matteo Bortolon da Il Manifesto   Le pensioni sono sotto attacco. Non a singhiozzo, non in fasi circoscritte: sempre. Tale conclu...