di Pergiorgio Odifreddi
Margherita Hack, la Signora delle Stelle, se n’è andata a 91 anni. Era da tempo gravemente
malata, ma aveva deciso di non curarsi più, lasciando alla Natura la
decisione di quando richiamarla a sé. Fino all’ultimo, dunque, è rimasta
coerente con la sua figura di intellettuale impegnata. Da un lato,
concentrata nello studio e nell’apprezzamento delle bellezze del cosmo.
L’astrofisica Margherita Hack. Dall'altro lato, incurante delle
convenzioni stabilite e insofferente delle superstizioni condivise.
Fin dalla giovinezza, aveva imparato a vivere sana. Era nata in una
famiglia vegetariana e non aveva mai mangiato carne, facendo sua la
motivazione esposta dal filosofo Peter Singer nell’ormai classico libro
Liberazione animale (Mondadori, 1991): il fatto, cioè, che mangiare
gli animali richiede di causare loro enormi sofferenze, dalla nascita
alla morte, e rende complici di quella che la Hack chiamava una
«ecatombe giornaliera».
A chi prova a sostenere con lei che un
bambino necessita di carne per crescere, la Hack rispondeva che non solo
lei era cresciuta benissimo, senza mai aver avuto malattie serie, ma
aveva potuto praticare sport agonistici, diventando in gioventù
campionessa di salto in alto e in lungo. E ancora a ottant’anni faceva giri in bicicletta di 100 chilometri e giocava a pallavolo.
L’altra faccia del vegetarianesimo della Hack era il suo famoso amore
per i gatti, dei quali viveva circondata in casa, e che spesso si
vedevano gironzolare attorno a lei, o sederle vicino, durante le
interviste registrate o gli interventi in video-conferenza. Come quello
nel quale l’abbiamo vista l’ultima volta, il 9 maggio scorso a Pisa, nei
Dialoghi dell’Espresso dedicati al tema “Perché la ricerca è indispensabile”.
Questo intervento non fu che l’ultima testimonianza pubblica di una
grande affabulatrice, che col passare del tempo aveva dedicato sempre
più energie a raccontare, a voce e per iscritto, le meraviglie delle
stelle e dell’universo. E poiché lo faceva con grande passione e
altrettanta chiarezza, era ormai diventata la più famosa divulgatrice
scientifica italiana, contendendo alla Levi Montalcini il primato per la
popolarità.
Le sue conferenze erano affollate come concerti, e sentirla raccontare le ultime scoperte astronomiche era un vero piacere per le orecchie e
per la mente. D’altronde, era quello il suo vero lavoro, forse più
nascosto e meno noto al pubblico. Aveva cominciato a interessarsene fin
dalla sua tesi di laurea, nell’ormai lontano 1945, sulle Cefeidi. Aveva
poi insegnato astronomia a Trieste, dove tuttora viveva, dirigendone per quasi venticinque anni l’Osservatorio Astronomico.
Il suo valore scientifico era testimoniato dalla sua appartenenza
all’Accademia Nazionale dei Lincei, di Galileiana memoria, e dalle sue
collaborazioni con l’Ente Spaziale Europeo e la Nasa statunitense. Ma
fin dagli anni Settanta aveva iniziato il suo impegno per la
disseminazione del sapere scientifico in una società come quella
italiana, che rimane ancor oggi preda di un atteggiamento antiscientista
e superstizioso.
Fin dagli inizi aveva dunque collaborato con il
Cicap, il Comitato per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale,
fondato nel 1989 da Piero Angela. E la sua verve toscana le era servita
spesso, per mettere alla berlina le credenze più retrograde e sciocche,
spesso propagandate dai media. E non solo, visto che solo qualche
settimana fa l’intero Parlamento italiano ha votato all’unanimità a
favore della sperimentazione della cura medica Stamina proposta da uno
psicologo di professione (sic), rendendoci ancora una volta gli zimbelli
del mondo scientifico internazionale, e facendoci sbeffeggiare per ben
due volte dalla rivista Nature.
Oltre che contro le superstizioni
anti-scientifiche, la Hack combatté coraggiosamente anche contro quelle
religiose e organizzate. Era presidente onoraria dell’Uaar, l’Unione
degli Atei e Agnostici Razionalisti, che si propone di dar voce a quel
15 per cento della popolazione italiana che non crede, ma che certo non
riceve il 15 per cento della visibilità sui media, e non ottiene l’8 per
mille di finanziamento statale.
A questo proposito, a Natale ho
avuto il dubbio onore di condividere con lei uno dei tanti episodi di
intolleranza religiosa nei confronti dei non credenti. Un prete
fondamentalista di Firenze mise infatti le nostre foto, insieme a quelle
di Corrado Augias e Vito Mancuso, in una specie di «presepio degli
orrori», che comprendeva Hitler, Stalin e Pol Pot. L’idea era di
accomunare i non credenti ai nazisti e ai comunisti, per mostrare che
senza fede si finisce dritti ai campi di concentramento e ai gulag.
La Hack reagì nella miglior maniera, a questa stupida provocazione: si
fece una bella risata, e diede del «bischero» a quel prete. Ma comunista
lei lo era per davvero, e lo rimase anche dopo la caduta del Muro di
Berlino. Militò in vari partiti dell’estrema, e alle regionali del 2010
fu eletta nel Lazio con la Federazione della Sinistra, anche se alla
prima seduta del consiglio si dimise per lasciare il posto al primo non
eletto.
Era dunque uno degli ultimi rappresentanti di quella specie ormai in via di estinzione che è l’intellettuale engagée, che pensa con la propria testa invece che con quella degli altri. Di
Margherita Hack, come di Rita Levi Montalcini o di Franca Rame, ci
sarebbe un gran bisogno. E ora che anche l’ultima di loro se n’è andata,
toccherà a qualcun altro indicarci la via, e ricordarci che la ragione e
l’onestà sono caratteristiche indispensabili per vivere degnamente in
una società civile.
da Repubblica del 30.06.2013
domenica 30 giugno 2013
venerdì 28 giugno 2013
Galbraith e i socialdemocratici contro l'austerità e il debito insostenibile
Raffaella Bolini da huffingtonpost.it
James K. Galbraith
non usa giri di parole per dire che l'Unione europea, se continua così,
non ha futuro, e che i paesi che la compongono sono a un passo dalla
rovina. "È inutile illudersi che si possa tenere il fuoco lontano da
casa. Una stanza già brucia, ed è la Grecia. Se non si spegne quel
fuoco, una dopo l'altra crollerà tutto."
L'economista, figlio dell'omonimo padre, da anni lancia attacchi
frontali al neoliberismo che, ripete anche nella sala del Parlamento
Europeo il giorno prima del Consiglio Europeo, non è una scienza - è una
ideologia reazionaria.
All'auditorio, composto da parlamentari europei, esponenti sindacali soprattutto di mondo tedesco, e associazioni aderenti a Solidar - una grande rete europea per la giustizia sociale - ripete più volte "Non avete tempo. Dovete avere un progetto di grandi riforme progressiste nella testa, ma prima di tutto dovete prendere le decisioni urgenti, quelle che invertono la rotta."
Lo dice chiaramente: "A chi non è in grado di pagare il debito, se non a prezzo della rovina, bisogna consentire di non pagare. Una parte del debito deve essere considerato inesigibile. Le banche in crisi devono essere messe sotto controllo democratico. Non illudete la vostra gente con la promessa della crescita. Per recuperare questo disastro ci vorranno decenni. Intanto stabilizzate la situazione, questa è la priorità".
Risponde così, entrando di punta nel tema debito, al Nuovo Piano Marshall della Dgb, il sindacato tedesco. Un piano dettagliato, concretissimo, tutto rivolto al positivo. Che al posto dell'austerità punta su grandi investimenti per lo sviluppo, il lavoro, la riconversione ecologica, la crescita. Dicendo chiaramente che per un piano efficace servono molte decine di miliardi di euro all'anno, per almeno un decennio. E che si possono trovare: con la tassazione delle transazioni finanziarie, con la chiusura dei paradisi fiscali, con la redistribuzione e la tassazione dei ricchi.
È una discussione davvero interessante, e lontano mille anni luce dall'insipienza del dibattito politico italiano, quello organizzato da Josef Weidenholzer, presidente di Solidar, il giorno prima dell'assemblea generale della rete europea.
Josef è un eurodeputato austriaco socialdemocratico. In questi ultimi mesi è stato molto impegnato per il successo della Ice per l'acqua pubblica in Austria, ha lottato per l'esclusione dell'acqua dalla direttiva sugli appalti pubblici (che minacciava per vie traverse di obbligare alla privatizzazione gli Enti Locali). È ancora sconvolto da un viaggio recente in Grecia. Da mesi ripete che, se si continua così, in Europa è a rischio la pace. Lo dicono in tanti, nel nord Europa.
Ad ascoltare Galbraith c'è Hannes Swoboda, presidente del gruppo socialista al Parlamento europeo. Per la sala circola ultima pubblicazione di Swoboda che si intitola (maiuscole incluse) BASTA! Finirla con l'austerità, una forte denuncia del disastro sociale, economico e democratico prodotto dalle scelte della Unione europea, che ha affidato alla Troika il potere completamente fuori controllo di applicare riforme completamente sbagliate - perché le riforme non sono neutre, e quindi non buone in sé.
Siamo in casa socialista. All'assemblea di Solidar -anche grazie alla pressione di alcuni soci che chiedono alla rete un posizionamento più autonomo- il giorno dopo intervengono anche Thomas Handel, deputato del gruppo della sinistra europea Gue, e Philippe Lambert, deputato verde schierato contro l'austerità che ha parlato anche all'Altersummit di Atene. Ma il dibattito vero è tutto dentro alla famiglia socialdemocratica.
Ancora più di interesse il fatto che nel dibattito con Galbraith la maggioranza degli interlocutori sono dell'Europa di lingua tedesca - area Merkel, che l'austerità l'ha imposta e ci ha anche guadagnato. Le elezioni tedesche sono nell'aria, quelle europee seguiranno a ruota e nessuno fa finta di non pensarci.
"Bisogna vincere le elezioni" dice apertamente Josef "almeno quelle europee perché in Germania non sarà facile. Non vinceremo senza una grande mobilitazione contro l'austerità, partiti insieme a sindacati e società civile." E auspica un giorno comune di manifestazioni in tutta Europa. Lo stesso auspicio con cui si è chiuso l'Altersummit di Atene, dove la componente politica più impegnata è invece la sinistra del GUE.
Che ci sia una speranza? Se si realizzasse un magico intreccio fra la consapevolezza vera del pericolo, il contagio della crisi anche nel nord Europa, la ricerca di consenso elettorale contro la destra, la reazione contro l'anti-europeismo che cresce, le spinte per una vera alternativa sistemica e quelle per un riformismo progressista non liberista, forse qualcosa potrebbe succedere.
Forse sarebbe possibile la costruzione di un campo di forze plurale -persino avversario in prospettiva ma unito oggi per frenare la rotta europea che va dritta verso il naufragio.
Certo, per come sono oggi le cose non pare possibile che a guidare un processo del genere sia l'Italia, con una sinistra dispersa, un centro-sinistra pieno di liberisti, e un governo che spaccia pochi spiccioli a giovane (fare i conti per credere) come grandi investimenti contro la disoccupazione.
Ma non siamo nazionalisti, quindi proviamo a sperare che in Europa qualcosa si muova e ci trascini con sè.
All'auditorio, composto da parlamentari europei, esponenti sindacali soprattutto di mondo tedesco, e associazioni aderenti a Solidar - una grande rete europea per la giustizia sociale - ripete più volte "Non avete tempo. Dovete avere un progetto di grandi riforme progressiste nella testa, ma prima di tutto dovete prendere le decisioni urgenti, quelle che invertono la rotta."
Lo dice chiaramente: "A chi non è in grado di pagare il debito, se non a prezzo della rovina, bisogna consentire di non pagare. Una parte del debito deve essere considerato inesigibile. Le banche in crisi devono essere messe sotto controllo democratico. Non illudete la vostra gente con la promessa della crescita. Per recuperare questo disastro ci vorranno decenni. Intanto stabilizzate la situazione, questa è la priorità".
Risponde così, entrando di punta nel tema debito, al Nuovo Piano Marshall della Dgb, il sindacato tedesco. Un piano dettagliato, concretissimo, tutto rivolto al positivo. Che al posto dell'austerità punta su grandi investimenti per lo sviluppo, il lavoro, la riconversione ecologica, la crescita. Dicendo chiaramente che per un piano efficace servono molte decine di miliardi di euro all'anno, per almeno un decennio. E che si possono trovare: con la tassazione delle transazioni finanziarie, con la chiusura dei paradisi fiscali, con la redistribuzione e la tassazione dei ricchi.
È una discussione davvero interessante, e lontano mille anni luce dall'insipienza del dibattito politico italiano, quello organizzato da Josef Weidenholzer, presidente di Solidar, il giorno prima dell'assemblea generale della rete europea.
Josef è un eurodeputato austriaco socialdemocratico. In questi ultimi mesi è stato molto impegnato per il successo della Ice per l'acqua pubblica in Austria, ha lottato per l'esclusione dell'acqua dalla direttiva sugli appalti pubblici (che minacciava per vie traverse di obbligare alla privatizzazione gli Enti Locali). È ancora sconvolto da un viaggio recente in Grecia. Da mesi ripete che, se si continua così, in Europa è a rischio la pace. Lo dicono in tanti, nel nord Europa.
Ad ascoltare Galbraith c'è Hannes Swoboda, presidente del gruppo socialista al Parlamento europeo. Per la sala circola ultima pubblicazione di Swoboda che si intitola (maiuscole incluse) BASTA! Finirla con l'austerità, una forte denuncia del disastro sociale, economico e democratico prodotto dalle scelte della Unione europea, che ha affidato alla Troika il potere completamente fuori controllo di applicare riforme completamente sbagliate - perché le riforme non sono neutre, e quindi non buone in sé.
Siamo in casa socialista. All'assemblea di Solidar -anche grazie alla pressione di alcuni soci che chiedono alla rete un posizionamento più autonomo- il giorno dopo intervengono anche Thomas Handel, deputato del gruppo della sinistra europea Gue, e Philippe Lambert, deputato verde schierato contro l'austerità che ha parlato anche all'Altersummit di Atene. Ma il dibattito vero è tutto dentro alla famiglia socialdemocratica.
Ancora più di interesse il fatto che nel dibattito con Galbraith la maggioranza degli interlocutori sono dell'Europa di lingua tedesca - area Merkel, che l'austerità l'ha imposta e ci ha anche guadagnato. Le elezioni tedesche sono nell'aria, quelle europee seguiranno a ruota e nessuno fa finta di non pensarci.
"Bisogna vincere le elezioni" dice apertamente Josef "almeno quelle europee perché in Germania non sarà facile. Non vinceremo senza una grande mobilitazione contro l'austerità, partiti insieme a sindacati e società civile." E auspica un giorno comune di manifestazioni in tutta Europa. Lo stesso auspicio con cui si è chiuso l'Altersummit di Atene, dove la componente politica più impegnata è invece la sinistra del GUE.
Che ci sia una speranza? Se si realizzasse un magico intreccio fra la consapevolezza vera del pericolo, il contagio della crisi anche nel nord Europa, la ricerca di consenso elettorale contro la destra, la reazione contro l'anti-europeismo che cresce, le spinte per una vera alternativa sistemica e quelle per un riformismo progressista non liberista, forse qualcosa potrebbe succedere.
Forse sarebbe possibile la costruzione di un campo di forze plurale -persino avversario in prospettiva ma unito oggi per frenare la rotta europea che va dritta verso il naufragio.
Certo, per come sono oggi le cose non pare possibile che a guidare un processo del genere sia l'Italia, con una sinistra dispersa, un centro-sinistra pieno di liberisti, e un governo che spaccia pochi spiccioli a giovane (fare i conti per credere) come grandi investimenti contro la disoccupazione.
Ma non siamo nazionalisti, quindi proviamo a sperare che in Europa qualcosa si muova e ci trascini con sè.
giovedì 27 giugno 2013
Alcune domande al nostro Presidente
Caro Presidente, nel 1978, quando era ancora vivo il PCI e lei ne
rappresentava l'anima cosiddetta migliorista, fece un discorso
alla camera alla luce dei fatti talmente veritiero, che a pensarci solo da una palla di vetro poteva essere uscito, una porta aperta sul futuro. Il suo discorso mostrava
chiaramente le distorsioni di un sistema monetario, dove senza gli
opportuni riequilibri, la perdita di competitività dei paesi deboli
non avrebbe lasciato altra scelta agli stessi che il taglio dei
salari, l'unica forma possibile di svalutazione, e questo solo per poter stare al passo con i cosiddetti paesi
forti come la Germania. Non vorrei ripetere la solita domanda che
molti, considerata la sua attuale fedeltà incondizionata ai dettami dell'Europa di
Mastricht, le rivolgono: "cosa le ha fatto cambiare idea ?" Ognuno è libero di cambiare idea, ma una domanda vorrei
fargliela: ne è valsa la pena? Abbracciare in buona sostanza il
credo liberista, sia esso di derivazione austriaca o a stelle e
strisce formato Chicago Boys, le è parsa una buona idea? Non
le sono bastate le tante dimostrazioni del fallimento del liberismo e
della finanziarizzazione dell'economia di cui questa ennesima crisi è
figlia? Davvero le sembra corretto, soprattutto in tempo di crisi, tagliare la spesa pubblica, ridurre le garanzie del lavoro, privatizzare i beni pubblici e accentuare la deregolamentazione dell'economia e della finanza? Non le dicono niente il default argentino, le varie crisi
asiatiche (vedi Russia nel 98) e messicane, e oggi il grido di dolore
e di vendetta del Brasile che vive la schizofrenia di un governo di
sinistra costretto a muovere le leve di un'economia liberista? E la
Grecia? Impoverita e spolpata con una giustificazione
psudomoralistica di aver barato sui conti o di non avere fatto bene i
compiti.
Forse sto dicendo assurdità, cose senza senso, io non capisco niente di economia lo ammetto, ma se è così vorrei che lei mi spiegasse, mi facesse capire, mi convincesse che non c'era altra strada se non quella di ridurre drasticamente i consumi delle famiglie europee, accentuare le diseguaglianze con trasferimenti immani di ricchezza e abdicare completamente alla propria sovranità nazionale a favore di organismi non elettivi come la BCE. Prego? Vuole forse dirmi che non c'era rimedio alle trappole delle liquidità, una spirale perversa che avrebbe portato a un consumo forsennato delle risorse da parte di un mondo sempre più sovrappopolato? Vuole dirmi che le speculazioni dei banchieri erano un male necessario? Come l'aver trasformato un debito privato in debito pubblico, tutto sulle spalle dei cittadini poveri? Ma se si voleva attuare una rivoluzione che limitasse i consumi e contenesse l'uso delle risorse, era necessario far arricchire a dismisura una piccola percentuale di gente già ricca e portare alla rovina intere nazioni? Non era più facile conciliare una politica di redistribuzione dei redditi con una rivoluzione dei consumi attraverso scelte ecologiche oculate, che avrebbero prodotto occupazione, risparmio delle risorse e minore inquinamento? Crede davvero che l'austerità potrà produrre una migliore crescita? E fra quando? Non le sembra che una politica senza restrizioni né regole per la finanza e per un capitalismo globale con licenza di predare, grazie anche alla benevolenza dei vari trattati internazionali, concepiti nelle oscure stanza del WTO, abbia prodotto un deregulation da una parte e una "regulation" capestro per gli stati deboli dall'altra, lasciando sul campo solo macerie? Non so perché lei creda nella inevitabilità di scelte economiche così palesemente inique, ma ho il sospetto che ci sia una sorta di costrizione in ciò. Non sono un complottista e credo nella sua buona fede, ma proprio per questo la mia ragione vacilla, perché da un lato vedo chiaramente, come chiunque, gli errori e gli orrori di questa politica economica, dall'altra sento persone sagge come lei così convinte che andare verso il baratro non solo sia giusto, ma anche conveniente. C'è qualcosa che decisamente non torna. Non voglio certo piegare la realtà alle mie convinzioni, ma qui è la realtà che ci sta piegando le spalle e che chiede di essere ascoltata.
La spiegazione più semplice a voler essere maligni è che qualcuno l'abbia costretta suo malgrado a rendersi complice di un autentico misfatto o che lei abbia considerato inevitabile tutto ciò al fine di salvaguardare la classe politico-sociale a cui lei appartiene, ma io credo nella sua buona fede e per una volta lascerò perdere il rasoio di Occam e prenderò in considerazione risposte più complicate. Talmente complicate che credo che non verrò mai a capo di questo enigma.
Forse sto dicendo assurdità, cose senza senso, io non capisco niente di economia lo ammetto, ma se è così vorrei che lei mi spiegasse, mi facesse capire, mi convincesse che non c'era altra strada se non quella di ridurre drasticamente i consumi delle famiglie europee, accentuare le diseguaglianze con trasferimenti immani di ricchezza e abdicare completamente alla propria sovranità nazionale a favore di organismi non elettivi come la BCE. Prego? Vuole forse dirmi che non c'era rimedio alle trappole delle liquidità, una spirale perversa che avrebbe portato a un consumo forsennato delle risorse da parte di un mondo sempre più sovrappopolato? Vuole dirmi che le speculazioni dei banchieri erano un male necessario? Come l'aver trasformato un debito privato in debito pubblico, tutto sulle spalle dei cittadini poveri? Ma se si voleva attuare una rivoluzione che limitasse i consumi e contenesse l'uso delle risorse, era necessario far arricchire a dismisura una piccola percentuale di gente già ricca e portare alla rovina intere nazioni? Non era più facile conciliare una politica di redistribuzione dei redditi con una rivoluzione dei consumi attraverso scelte ecologiche oculate, che avrebbero prodotto occupazione, risparmio delle risorse e minore inquinamento? Crede davvero che l'austerità potrà produrre una migliore crescita? E fra quando? Non le sembra che una politica senza restrizioni né regole per la finanza e per un capitalismo globale con licenza di predare, grazie anche alla benevolenza dei vari trattati internazionali, concepiti nelle oscure stanza del WTO, abbia prodotto un deregulation da una parte e una "regulation" capestro per gli stati deboli dall'altra, lasciando sul campo solo macerie? Non so perché lei creda nella inevitabilità di scelte economiche così palesemente inique, ma ho il sospetto che ci sia una sorta di costrizione in ciò. Non sono un complottista e credo nella sua buona fede, ma proprio per questo la mia ragione vacilla, perché da un lato vedo chiaramente, come chiunque, gli errori e gli orrori di questa politica economica, dall'altra sento persone sagge come lei così convinte che andare verso il baratro non solo sia giusto, ma anche conveniente. C'è qualcosa che decisamente non torna. Non voglio certo piegare la realtà alle mie convinzioni, ma qui è la realtà che ci sta piegando le spalle e che chiede di essere ascoltata.
La spiegazione più semplice a voler essere maligni è che qualcuno l'abbia costretta suo malgrado a rendersi complice di un autentico misfatto o che lei abbia considerato inevitabile tutto ciò al fine di salvaguardare la classe politico-sociale a cui lei appartiene, ma io credo nella sua buona fede e per una volta lascerò perdere il rasoio di Occam e prenderò in considerazione risposte più complicate. Talmente complicate che credo che non verrò mai a capo di questo enigma.
I miliardi per il “salvataggio” della Grecia a chi sono andati?
da firstlinepress
I 207 miliardi sbloccati nel 2010 dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale, in cambio di poderose e devastanti politiche di austerity, purtroppo non sono stati destinati in prevalenza alle tasche della popolazione greca, prima vittima della pesante crisi economica.
Un’interessante indagine condotta da Attac Austria, e riportata ieri sul sito della campagna nazionale Non Con I Miei Soldi promossa da Banca Etica e Fondazione Culturale Responsabilità Etica, ha scandagliato i versamenti delle due “tranches” di prestiti del 2010 e del 2012.
Ne è venuto fuori che 58 miliardi di euro di prestito sono andati alle banche greche (che tuttavia non hanno avuto la stessa disinvoltura a concedere prestiti a cittadini e imprese, nonostante la forte iniezione di liquidità), 101 ai creditori dello stato greco che tuttavia sono per la maggior parte comunque banche e fondi d’investimento, e solo 46 sono serviti a sistemare le finanze dello Stato. In totale, il 77% di queste risorse è andato, direttamente o indirettamente, a beneficio del sistema bancario e finanziario, ossia ai principali responsabili della crisi degli Stati (che, praticamente sotto ricatto, sono intervenuti negli anni a mettere una toppa lì dove operazioni scellerate degli istituti finanziari avevano lasciato buchi di bilancio che avvicinavano al fallimento degli stessi).
Lo studio di Attac Austria (qui l’articolo di Non Con I Miei Soldi che lo commenta), ha inoltre riscontrato poca trasparenza in alcuni versamenti. Lo Stato tedesco ha rifiutato le conclusioni dell’indagine, affermando che scongiurare il fallimento delle banche e ripagare i creditori abbia portato vantaggi positivi alla popolazione greca, consentendo maggior tempo anche per i piani di ristrutturazione economica delle finanze pubbliche di Atene.
Per quanto non lo dicano palesemente a Berlino, abbiamo la conferma che per la “Troika” è molto più sensato salvare una banca che una persona. A differenza di quanto sentiamo correntemente nei media, non è un problema di mancanza di soldi, che come si è visto quando servono si trovano, bensì di scelta precisa sul dove allocare le risorse. C’è chi ha interesse a direzionarle verso istituti di credito, grosse aziende private e magari alle industrie di armi, e a sottrarle al settore pubblico. I tagli ai servizi essenziali, dalla sanità all’istruzione, per non parlare dell’informazione e della cultura, stanno portando il Paese alla disgregazione ed al collasso sociale, permettendo, se non bastasse, l’avanzata di forze che inneggiano al totalitarismo e all’ordine, come Alba Dorata.
Su queste pagine vi abbiamo già parlato dell‘acqua pubblica greca a rischio privatizzazione (che significa aumento di tariffe e noncuranza nella gestione del servizio); di casi esemplari come l’isola di Limnos, dove l’ospedale verrà chiuso mentre la militarizzazione e l’acquisto di armamenti (Nato-orientato) crescono; di come si sono reperiti fondi privati per salvare l’Alpha Bank e la NGB ma non una delle reti televisive del servizio pubblico o l’Orchestra sinfonica nazionale.
La nazione culla della civiltà occidentale, così vessata e così tanto spettro di quello che potrebbe succedere ad altri Stati europei, con questo genere di politiche, è tuttavia riuscita a mettere un freno all’austerity. Martedì, infatti, una sentenza del Consiglio di Stato ha annullato la decisione del premier Saras di chiudere la ERT, mandando di punto in bianco sulla pubblica via quasi 2.700 dipendenti. La ERT è quindi per ora “riaperta”, si aspetta di vedere le prossime mosse.
I 207 miliardi sbloccati nel 2010 dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale, in cambio di poderose e devastanti politiche di austerity, purtroppo non sono stati destinati in prevalenza alle tasche della popolazione greca, prima vittima della pesante crisi economica.
Un’interessante indagine condotta da Attac Austria, e riportata ieri sul sito della campagna nazionale Non Con I Miei Soldi promossa da Banca Etica e Fondazione Culturale Responsabilità Etica, ha scandagliato i versamenti delle due “tranches” di prestiti del 2010 e del 2012.
Ne è venuto fuori che 58 miliardi di euro di prestito sono andati alle banche greche (che tuttavia non hanno avuto la stessa disinvoltura a concedere prestiti a cittadini e imprese, nonostante la forte iniezione di liquidità), 101 ai creditori dello stato greco che tuttavia sono per la maggior parte comunque banche e fondi d’investimento, e solo 46 sono serviti a sistemare le finanze dello Stato. In totale, il 77% di queste risorse è andato, direttamente o indirettamente, a beneficio del sistema bancario e finanziario, ossia ai principali responsabili della crisi degli Stati (che, praticamente sotto ricatto, sono intervenuti negli anni a mettere una toppa lì dove operazioni scellerate degli istituti finanziari avevano lasciato buchi di bilancio che avvicinavano al fallimento degli stessi).
Lo studio di Attac Austria (qui l’articolo di Non Con I Miei Soldi che lo commenta), ha inoltre riscontrato poca trasparenza in alcuni versamenti. Lo Stato tedesco ha rifiutato le conclusioni dell’indagine, affermando che scongiurare il fallimento delle banche e ripagare i creditori abbia portato vantaggi positivi alla popolazione greca, consentendo maggior tempo anche per i piani di ristrutturazione economica delle finanze pubbliche di Atene.
Per quanto non lo dicano palesemente a Berlino, abbiamo la conferma che per la “Troika” è molto più sensato salvare una banca che una persona. A differenza di quanto sentiamo correntemente nei media, non è un problema di mancanza di soldi, che come si è visto quando servono si trovano, bensì di scelta precisa sul dove allocare le risorse. C’è chi ha interesse a direzionarle verso istituti di credito, grosse aziende private e magari alle industrie di armi, e a sottrarle al settore pubblico. I tagli ai servizi essenziali, dalla sanità all’istruzione, per non parlare dell’informazione e della cultura, stanno portando il Paese alla disgregazione ed al collasso sociale, permettendo, se non bastasse, l’avanzata di forze che inneggiano al totalitarismo e all’ordine, come Alba Dorata.
Su queste pagine vi abbiamo già parlato dell‘acqua pubblica greca a rischio privatizzazione (che significa aumento di tariffe e noncuranza nella gestione del servizio); di casi esemplari come l’isola di Limnos, dove l’ospedale verrà chiuso mentre la militarizzazione e l’acquisto di armamenti (Nato-orientato) crescono; di come si sono reperiti fondi privati per salvare l’Alpha Bank e la NGB ma non una delle reti televisive del servizio pubblico o l’Orchestra sinfonica nazionale.
La nazione culla della civiltà occidentale, così vessata e così tanto spettro di quello che potrebbe succedere ad altri Stati europei, con questo genere di politiche, è tuttavia riuscita a mettere un freno all’austerity. Martedì, infatti, una sentenza del Consiglio di Stato ha annullato la decisione del premier Saras di chiudere la ERT, mandando di punto in bianco sulla pubblica via quasi 2.700 dipendenti. La ERT è quindi per ora “riaperta”, si aspetta di vedere le prossime mosse.
domenica 23 giugno 2013
Ricetta Jp Morgan per Europa integrata: liberarsi delle costituzioni antifasciste
Report della banca d'affari statunitense, considerata dal governo Usa responsabile della crisi dei subprime: "I sistemi politici dei paesi europei del Sud e in particolare le loro costituzioni, adottate in seguito alla caduta del fascismo, presentano caratteristiche inadatte a favorire l'integrazione. C'è forte influenza delle idee socialiste". E cita, tra gli aspetti problematici, la tutela gaantita dei diritti dei lavoratori
di Luca Pisapia da ilfattoquotidiano
Che un gigante della finanza globale produca un documento in cui chiede ai governi riforme strutturali improntate all’austerity non fa più notizia. Ma Jp Morgan, storica società finanziaria (con banca inclusa) statunitense, si è spinta più in là. E ha scritto nero su bianco quella che sembra essere la ricetta del grande capitale finanziario per gli stati dell’Eurozona. Il suo consiglio ai governi nazionali d’Europa per sopravvivere alla crisi del debito è: liberatevi al più presto delle vostre costituzioni antifasciste.
In questo documento di 16 pagine datato 28 maggio 2013, dopo che nell’introduzione si fa già riferimento alla necessità di intervenire politicamente a livello locale, a pagina 12 e 13 si arriva alle costituzioni dei paesi europei, con particolare riferimento alla loro origine e ai contenuti: “Quando la crisi è iniziata era diffusa l’idea che questi limiti intrinseci avessero natura prettamente economica (…) Ma col tempo è divenuto chiaro che esistono anche limiti di natura politica. I sistemi politici dei paesi del sud, e in particolare le loro costituzioni, adottate in seguito alla caduta del fascismo, presentano una serie di caratteristiche che appaiono inadatte a favorire la maggiore integrazione dell’area europea” (traduzione da http://culturaliberta.wordpress.com/).
JPMorgan è stata tra le protagoniste dei progetti della finanza creativa e quindi della crisi dei subprime che dal 2008. Fino a essere stata formalmente denunciata nel 2012 dal governo federale americano come responsabile della crisi, in particolare per l’acquisto della banca d’investimento Bear Sterns. Ecco che invece dai grattacieli di Manhattan hanno pensato bene di scrivere che i problemi economici dell’Europa sono dovuti al fatto che “i sistemi politici della periferia meridionale sono stati instaurati in seguito alla caduta di dittature, e sono rimasti segnati da quell’esperienza. Le costituzioni mostrano una forte influenza delle idee socialiste, e in ciò riflettono la grande forza politica raggiunta dai partiti di sinistra dopo la sconfitta del fascismo”.
E per colpa delle idee socialiste insite nelle costituzioni, secondo Jp Morgan, non si riescono ad applicare le necessarie misure di austerity. “I sistemi politici e costituzionali del sud presentano le seguenti caratteristiche: esecutivi deboli nei confronti dei parlamenti; governi centrali deboli nei confronti delle regioni; tutele costituzionali dei diritti dei lavoratori; tecniche di costruzione del consenso fondate sul clientelismo; e la licenza di protestare se sono proposte modifiche sgradite dello status quo. La crisi ha illustrato a quali conseguenze portino queste caratteristiche. I paesi della periferia hanno ottenuto successi solo parziali nel seguire percorsi di riforme economiche e fiscali, e abbiamo visto esecutivi limitati nella loro azione dalle costituzioni (Portogallo), dalle autorità locali (Spagna), e dalla crescita di partiti populisti (Italia e Grecia)”.
Quindi Jp Morgan, dopo avere attribuito all’Europa l’incapacità di uscire dalla crisi per la colpa originaria della forza politica dei partiti di sinistra e delle costituzioni antifasciste nate dalle varie lotte di liberazione continentali, ammonisce che l’austerity si stenderà sul vecchio continente “per un periodo molto lungo”.
venerdì 21 giugno 2013
Bannato da Facebook
Da oggi non ho più una pagina Facebook e mi viene imnpedito di inviare commenti. Come si dice in gergo sono stato bannato. Non so chi possa avere tanto potere e se la misura sia definitiva o temporanea. Ho dei sospetti e se questi corrispondono al vero si tratta di un vero atto squadristico: non puoi bannare uno solo perché è sarcastico nei tuoi confronti e ti risponde per le rime. La cosa è ancora più assurda se si considera che malgrado l' "estremismo" di alcune miei posizioni non mai usato un linguaggio offensivo o aggressivo.
Pazienza, mi resta sempre il blog, sempre se qualcuno non sia in grado di bannarmi anche da quello.
Pazienza, mi resta sempre il blog, sempre se qualcuno non sia in grado di bannarmi anche da quello.
mercoledì 19 giugno 2013
L'avvento del Grillo
Lo confesso per alcuni istanti la parte
rettiliana del mio cervello, quella per intenderci più arcaica e
legata agli istinti, ha fatto il tifo per Grillo, considerato come un
strumento di scasso dell’attuale sistema politico, in conflitto con
la parte nobile e più recente del cervello stesso, quella
notoriamente sede della razionalità, che rivendicava una politica
meno confusionaria ed ambigua. Man mano che passano i giorni però
avverto una riappacificazione delle due aree, e sono finalmente
incline a considerare il fenomeno Grillo come un incidente necessario
della ragione. Trovo stucchevole il reato di lesa maestà di cui
viene accusata la Gambaro e ancor più il furore fanatico del comico
genovese con i suoi toni da Savonarola buono per tutte le stagioni,
nei riguardi di tutti quelli che osano ragionare o accennare a
critiche, bollati ora come spie, ora come approfittatori attaccati al
soldo, ora come “sfigati”. Non si pretende da Grillo l’osservanza
dell’etichetta, ma almeno un po’ di buon senso si.
Nella migliore delle ipotesi, come ho
già avuto modo di dire, Grillo gioca d’azzardo, puntando tutto
sullo sfacelo della società, nell’ipotesi peggiore invece si
tratta di uno storicismo malandato o ancora peggio di un avventismo
da fuori di testa, con le follie su Gaia di Casaleggio. Grillo si era
aggiudicato fino ad ora, non senza ragioni, il monopolio della
speranza, un monopolio che man mano che passa il tempo sta perdendo
ignominiosamente. Il problema però è che al monopolio di Grillo non
si sostituisce una pluralità di offerte che sia minimamente in
grado di soddisfare le richieste di un popolo ansimante e a corto di
prospettive.
Si ritorna a parlare di partito, riscoprendo le virtù
di una forma politica considerata obsoleta, consci del fatto che un
contenitore con un perimetro delimitato può mantenere la dialettica
politica entro confini controllabili, e al tempo stesso contenere
al massimo il rischio di dispersione delle singole soggettività,
evitare deflagrazioni e frammentazioni (non sempre) e infine
consentire una adeguata trasmissione di saperi e di competenze. Per
quanto mi riguarda non ho nulla contro la forma partito, non credo in
un’evoluzione scontata delle forme delle politica e non credo che
la loro morte si inevitabile. Ma di quale partito parliamo oggi? Non
certo il Pd o di una sinistra dell'% come perno di un'alternativa.
Credo che in questo momento storico siano più importanti i
paradigmi di riferimento che i singoli schieramenti in campo. Ancora
oggi Draghi afferma che gli scarsi successi in materia economica sono
dovuti all’incompleta realizzazione delle “riforme” (leggasi
demolizione dei diritti del lavoro).Gli fanno eco i vari Saccomanni,
Giovannini e non ultimo Letta che parlano di assoluta necessità di
rispettare gli accordi (capestro) con l’Europa. Un ritornello che
abbiamo già sentito in passato quando gli alunni migliori del FMI
come l'Argentina, venivano continuamente spronate a implementare le
“riforme”, perché per quanto facessero non era mai abbastanza
secondo i cervelloni della Banca Mondiale e del FMI, i quali
giustificavano il loro palese fallimento e il disastro dell'economia
con una non totale aderenza ai loro dettati da parte dei governi.
Quando non c'era più nulla da privatizzare e compiti da svolgere
(privatizzarono anche le fogne), l'Argentina andò in default e prima
che invertisse la rotta dell'economia dovette riscoprire l'antica
usanza del baratto. Oggi più che mai il prerequisito essenziale per
salvarci sta nella scelta degli indirizzi da dare all’economia,
sebbene questo non significhi lasciar fuori un discorso sui modelli
di sviluppo, né che ci possa illudere possa che con il cambio di
passo sull’economia verso sponde keynesiane si risolvano tutti i
problemi della società. Sconfiggere il liberismo e la visione di un
Europa dei banchieri e della partita doppia, foriera di un’iniqua
distribuzione delle risorse e di un’accentuazione delle
diseguaglianze, è una premessa indispensabile per qualsiasi visione
del mondo di ampio respiro, mancando il quale ogni altro progetto di
società diversa da quella che abbiamo non è praticabile.
Se Grillo un dì riuscirà a fare un
discorso chiaro su questi punti e continuerà a rappresentare l’unica
alternativa a questo stato di cose, riconsidererò la mia scelta, ma
preferirei di gran lunga affidarmi a persone, movimenti o partiti che
siano, un po’ più seri e con minore ieratico furore.
sabato 15 giugno 2013
Giovani imprenditori alle armi
Tonino D'Orazio
Vuoi vedere che l’egoismo dei padri ha fregato anche loro. Ma da li a minacciare la rivoluzione tremano i polsi. Si dovrà fare a gara, se la devono fare i poveri o i ricchi. O tutti e due contro se stessi.
Sembra che la Confindustria soprattutto, ma anche la Confapi che emula i grandi, non abbiano nulla a che fare con la situazione attuale. Ricordo il 1994, quando fu eletto presidente del consiglio Berlusconi per la prima volta. Gli si scagliarono contro tutti gli organismi padronali nazionali, europei e mondiali. Aveva rotto un tabù. Gli imprenditori governavano e gestivano i soldi del paese tramite i politici, senza responsabilità diretta. Questa se la prendessero i politici. Berlusconi andò a prendersi i soldi dello Stato direttamente, senza mediazione. Scandalo, ma successivamente esempio, mondiale.
I grandi appaltatori, perché imprenditore è una parola troppo seria, ricevettero da allora grandi regali attraverso le privatizzazioni, in fin dei conti gratis, con giro cassa bancario. Eccetto il concorrente Fiat, ancora troppo ricco, che iniziò a vogare altrove dopo il diniego ad ottenere il gioiello Finmeccanica, Alenia compreso. Ricordiamo che si era già mangiato tutta la motoristica italiana, tanto da far dire a Tremonti che gli italiani avevano ricomperato la Fiat per ben tre volte. Benetton, sì quello delle magliette, ricevette le autostrade italiane costruite per decenni con le tasse degli italiani; un flusso continuo di denaro fresco in entrata giornaliera, e che grazie a Di Pietro non riuscì a vendere agli spagnoli. Tronchetti Provera, gruppo Pirelli, uomo di punta della ricca lobby ebraica italiana, ricevette tutta la telecomunicazione italiana e un paio di reti televisive per rifarsi della disastrosa scalata alla tedesca Continental, il tutto oggi allo sbando. Tralascio tutto il resto, il petrol-chimico, l’energia, l’agroalimentare, la grande distribuzione, l’aviazione, le casse di risparmio ecc., la lista sarebbe troppo lunga. Oggi, in Italia, sono più di 15.000 le imprese a controllo estero. Primi gli americani, secondi i francesi e terzi i tedeschi (report Istat 2011). Tralascio anche tutto quello di cui Berlusconi si è impossessato, da un imbroglio a un altro, dalle reti alle pubblicità televisive (90% a Mediaset), alle operazioni finanziarie e bancarie delle Poste Italiane (8.000 sportelli) tramite la sua banca Mediolanum, ecc…
Valutiamo anche tutti i benefici, enormi, indotti dalle varie “riforme” del mercato del lavoro e delle pensioni dei vari governi con un unico obiettivo, quello di impoverire le buste paga dei lavoratori e dei pensionati, dal pubblico al privato, e trasferire i benefici alle imprese e alle banche. Tutti i cosiddetti cunei fiscali, anche di 5 punti del Pil “tesoretto” di prodiana memoria, furono regalati direttamente a loro. I padri appaltatori hanno pensato ad ottenere benefici subito con il concetto di tirare la corda il più possibile su diritti e costo del lavoro, rivendere a stranieri tutto ciò che di buono esisteva nel nostro paese e tirare a campare. Molti soldi, maledetti e subito, per nasconderli altrove. Non hanno scelto la qualità del lavoro, dei prodotti, della professionalità. Hanno scelto la precarizzazione del lavoro, della vita delle persone e i rischiosi giochetti finanziari. Oggi cercano di tirare dentro le responsabilità anche le organizzazioni sindacali, addirittura “cedendo” sulla loro possibilità di rappresentarsi, diritto tolto illegalmente prima. Anzi Letta consiglia: “o remiamo tutti insieme nella stessa direzione e i problemi enormi che abbiamo non li risolveremo mai”. Funziona ancora la storia di chi rema e chi prende aria.
Anzi arrivano anche le lacrime di coccodrillo. Sono le organizzazioni sindacali a doversi "trovare di fronte a una sfida di grande complessità'", perché devono "tenere insieme la prioritaria difesa dei diritti e della dignità del lavoro ( che non c’è più) con l'individuazione degli interventi e degli strumenti innovativi necessari (ancora?) per superare la drammatica caduta dell'occupazione specie giovanile". Chi poteva raccontarla se non Napolitano dopo aver aiutato il parlamento e la destra europea a distruggere il tessuto del mercato del lavoro e del sociale. Insieme al segretario generale della Cisl.
Ora i figli e i nipoti degli appaltatori, perché di loro si tratta, essendo l’ascensore sociale bloccato ai piani alti, sono pronti a “prendere le armi”. Nei media non ha suscitato nessun scalpore, perché loro possono dirlo, gli altri nemmeno paventarlo. Ma poi contro chi le prenderebbero? Hanno già vinto, o quasi, la guerra contro i poveri. I “giovani” vorrebbero una eredità ormai sprecata, che lo Stato ripianasse nuovamente i loro debiti e sborsasse anche a loro un po’ di prebende, che si raschiasse il fondo di quel che rimane da regalare, da privatizzare, pardon, da “dismettere”. Fanno “moina”, amano il brivido, minacciano la “rivoluzione”, parolona che non fa più nemmeno sorridere in confronto a quello che succede nelle piazze mediterranee, ma sanno che l’amico Berlusconi è sempre lì, che i poteri forti, europei e mondiali, sono loro e che sono sempre alla plancia di comando per spogliare Stato e cittadini.
Evidentemente i “giovani” appaltatori dimenticano le responsabilità costituzionali (ma ormai chi non dimentica la Costituzione, cominciando dal suo garante Napolitano) sulla cosiddetta “responsabilità sociale” delle loro “imprese” e quindi anche i Principi Guida delle Nazioni Unite, che magari insistono troppo sul concetto di "accuratezza dovuta" (due diligence); concetto ed uguale definizione di responsabilità sociale messa a punto dalla Commissione Ue. Per Bruxelles, infatti, essa è definita come “la responsabilità delle imprese per le loro conseguenze sulla società. Il rispetto per la legislazione applicabile e per i contratti collettivi siglati fra le parti sociali sono un prerequisito per assolvere tale responsabilità”. Per questo motivo “le imprese devono applicare la due diligence quando analizzano le conseguenze delle proprie azioni e decisioni sull'ambiente e sui lavoratori”.
Risultato? Chiacchiere e distruzione. Forse ha ragione Draghi quando sancisce che lo stato sociale in Europa è definitivamente morto, con il massimo consenso padronale, popolare e istituzionale, insomma democraticamente.
Vuoi vedere che l’egoismo dei padri ha fregato anche loro. Ma da li a minacciare la rivoluzione tremano i polsi. Si dovrà fare a gara, se la devono fare i poveri o i ricchi. O tutti e due contro se stessi.
Sembra che la Confindustria soprattutto, ma anche la Confapi che emula i grandi, non abbiano nulla a che fare con la situazione attuale. Ricordo il 1994, quando fu eletto presidente del consiglio Berlusconi per la prima volta. Gli si scagliarono contro tutti gli organismi padronali nazionali, europei e mondiali. Aveva rotto un tabù. Gli imprenditori governavano e gestivano i soldi del paese tramite i politici, senza responsabilità diretta. Questa se la prendessero i politici. Berlusconi andò a prendersi i soldi dello Stato direttamente, senza mediazione. Scandalo, ma successivamente esempio, mondiale.
I grandi appaltatori, perché imprenditore è una parola troppo seria, ricevettero da allora grandi regali attraverso le privatizzazioni, in fin dei conti gratis, con giro cassa bancario. Eccetto il concorrente Fiat, ancora troppo ricco, che iniziò a vogare altrove dopo il diniego ad ottenere il gioiello Finmeccanica, Alenia compreso. Ricordiamo che si era già mangiato tutta la motoristica italiana, tanto da far dire a Tremonti che gli italiani avevano ricomperato la Fiat per ben tre volte. Benetton, sì quello delle magliette, ricevette le autostrade italiane costruite per decenni con le tasse degli italiani; un flusso continuo di denaro fresco in entrata giornaliera, e che grazie a Di Pietro non riuscì a vendere agli spagnoli. Tronchetti Provera, gruppo Pirelli, uomo di punta della ricca lobby ebraica italiana, ricevette tutta la telecomunicazione italiana e un paio di reti televisive per rifarsi della disastrosa scalata alla tedesca Continental, il tutto oggi allo sbando. Tralascio tutto il resto, il petrol-chimico, l’energia, l’agroalimentare, la grande distribuzione, l’aviazione, le casse di risparmio ecc., la lista sarebbe troppo lunga. Oggi, in Italia, sono più di 15.000 le imprese a controllo estero. Primi gli americani, secondi i francesi e terzi i tedeschi (report Istat 2011). Tralascio anche tutto quello di cui Berlusconi si è impossessato, da un imbroglio a un altro, dalle reti alle pubblicità televisive (90% a Mediaset), alle operazioni finanziarie e bancarie delle Poste Italiane (8.000 sportelli) tramite la sua banca Mediolanum, ecc…
Valutiamo anche tutti i benefici, enormi, indotti dalle varie “riforme” del mercato del lavoro e delle pensioni dei vari governi con un unico obiettivo, quello di impoverire le buste paga dei lavoratori e dei pensionati, dal pubblico al privato, e trasferire i benefici alle imprese e alle banche. Tutti i cosiddetti cunei fiscali, anche di 5 punti del Pil “tesoretto” di prodiana memoria, furono regalati direttamente a loro. I padri appaltatori hanno pensato ad ottenere benefici subito con il concetto di tirare la corda il più possibile su diritti e costo del lavoro, rivendere a stranieri tutto ciò che di buono esisteva nel nostro paese e tirare a campare. Molti soldi, maledetti e subito, per nasconderli altrove. Non hanno scelto la qualità del lavoro, dei prodotti, della professionalità. Hanno scelto la precarizzazione del lavoro, della vita delle persone e i rischiosi giochetti finanziari. Oggi cercano di tirare dentro le responsabilità anche le organizzazioni sindacali, addirittura “cedendo” sulla loro possibilità di rappresentarsi, diritto tolto illegalmente prima. Anzi Letta consiglia: “o remiamo tutti insieme nella stessa direzione e i problemi enormi che abbiamo non li risolveremo mai”. Funziona ancora la storia di chi rema e chi prende aria.
Anzi arrivano anche le lacrime di coccodrillo. Sono le organizzazioni sindacali a doversi "trovare di fronte a una sfida di grande complessità'", perché devono "tenere insieme la prioritaria difesa dei diritti e della dignità del lavoro ( che non c’è più) con l'individuazione degli interventi e degli strumenti innovativi necessari (ancora?) per superare la drammatica caduta dell'occupazione specie giovanile". Chi poteva raccontarla se non Napolitano dopo aver aiutato il parlamento e la destra europea a distruggere il tessuto del mercato del lavoro e del sociale. Insieme al segretario generale della Cisl.
Ora i figli e i nipoti degli appaltatori, perché di loro si tratta, essendo l’ascensore sociale bloccato ai piani alti, sono pronti a “prendere le armi”. Nei media non ha suscitato nessun scalpore, perché loro possono dirlo, gli altri nemmeno paventarlo. Ma poi contro chi le prenderebbero? Hanno già vinto, o quasi, la guerra contro i poveri. I “giovani” vorrebbero una eredità ormai sprecata, che lo Stato ripianasse nuovamente i loro debiti e sborsasse anche a loro un po’ di prebende, che si raschiasse il fondo di quel che rimane da regalare, da privatizzare, pardon, da “dismettere”. Fanno “moina”, amano il brivido, minacciano la “rivoluzione”, parolona che non fa più nemmeno sorridere in confronto a quello che succede nelle piazze mediterranee, ma sanno che l’amico Berlusconi è sempre lì, che i poteri forti, europei e mondiali, sono loro e che sono sempre alla plancia di comando per spogliare Stato e cittadini.
Evidentemente i “giovani” appaltatori dimenticano le responsabilità costituzionali (ma ormai chi non dimentica la Costituzione, cominciando dal suo garante Napolitano) sulla cosiddetta “responsabilità sociale” delle loro “imprese” e quindi anche i Principi Guida delle Nazioni Unite, che magari insistono troppo sul concetto di "accuratezza dovuta" (due diligence); concetto ed uguale definizione di responsabilità sociale messa a punto dalla Commissione Ue. Per Bruxelles, infatti, essa è definita come “la responsabilità delle imprese per le loro conseguenze sulla società. Il rispetto per la legislazione applicabile e per i contratti collettivi siglati fra le parti sociali sono un prerequisito per assolvere tale responsabilità”. Per questo motivo “le imprese devono applicare la due diligence quando analizzano le conseguenze delle proprie azioni e decisioni sull'ambiente e sui lavoratori”.
Risultato? Chiacchiere e distruzione. Forse ha ragione Draghi quando sancisce che lo stato sociale in Europa è definitivamente morto, con il massimo consenso padronale, popolare e istituzionale, insomma democraticamente.
martedì 11 giugno 2013
La mossa del Grillo
A Grillo non rimane che la mossa del cavallo: fare un accordo con il pd e governare questo cazzo di paese. Come stratega Grillo non vale un fico secco, avrebbe dovuto pensarci prima e inchiodare il pd con delle proposte che non poteva rifiutare invece che dare l'idea di agire di rimessa confidando nel tanto peggio tanto meglio. Assurdo poi l'estenuante balletto delle diarie e degli scontrini, imperdonabile non aver fatto chiaramente un nome per il presidente della repubblica. Personalmente non perdonerò mai Grillo per avermi costretto ad assistere alle tragicomiche di Stanlia e Ollio alias Lombardi e Crimi, che sedevano davanti a un Bersani che aveva l'aria di chi spiegava l'alfabeto ai due figli tonti. Per non parlare della figura che anno fatto i nostri eroi con Letta, apparso come un santone ligneo dallo sguardo sornione nell'atto di benedire gli scemi del villaggio accorsi in udienza.
Grillo può credermi, al di là di scommettere sulla rovina dell'Italia non gli rimane altra scelta, prenda in mano l'iniziativa, alcuni punti del suo programma sono spendibili, occorre però, fesserie sugli scontrini e sui finanziamenti ai partiti a parte, che sono solo spiccioli, dare il senso di una svolta profonda in economia, in una visione chiaramente keynesiana e portare con forza questa visione in Europa. La smetta Grillo con il ritornello del M5S che non si mischia con nessuno, qui non stiamo parlando di inciuci o di perdere la verginità , stiamo parlando di accordi chiari e di compromesso nel senso più nobile del termine. Che diamine quando c'è una guerra si fanno anche armistizi col nemico per il bene di tutti, perché mai non fare accordi con una forza concorrente?
Grillo prendi in mano l'iniziativa o presto sarai il secondo uomo qualunque di una storia desolata.
Grillo può credermi, al di là di scommettere sulla rovina dell'Italia non gli rimane altra scelta, prenda in mano l'iniziativa, alcuni punti del suo programma sono spendibili, occorre però, fesserie sugli scontrini e sui finanziamenti ai partiti a parte, che sono solo spiccioli, dare il senso di una svolta profonda in economia, in una visione chiaramente keynesiana e portare con forza questa visione in Europa. La smetta Grillo con il ritornello del M5S che non si mischia con nessuno, qui non stiamo parlando di inciuci o di perdere la verginità , stiamo parlando di accordi chiari e di compromesso nel senso più nobile del termine. Che diamine quando c'è una guerra si fanno anche armistizi col nemico per il bene di tutti, perché mai non fare accordi con una forza concorrente?
Grillo prendi in mano l'iniziativa o presto sarai il secondo uomo qualunque di una storia desolata.
mercoledì 5 giugno 2013
La scommessa del Grillo
Grillo ha fatto a mio parere un
scommessa con se stesso: ha scommesso nello sfacelo della società
italiana e nella mancanza di alternative al disastro. Adesso tutti si
affannano a dargli lezioni, a dettargli tattiche e strategie, a
insegnare a lui e Casaleggio come si fa la comunicazione, a fargli
capire che sta sbagliando tutto, che il suo consenso si è
ridimensionato, che non ci si può comportare come un ducetto
berciante ecc, ma lui non si da per inteso e continua dritto per la
sua strada.
Ha ragione Travaglio nei suoi editoriali: Grillo ladro,
Grillo ambiguo, Grillo antidemocratico populista. Se le inventano di
tutte, l'ultima quella dei soldi a nero guadagnati dai suoi tour in
giro per l'Italia, accuse da parte di gente che drena soldi a go go
da cooperative, banche, finanziamenti pubblici. Senza ritegno.
Mi
costringono per amore di verità a prendere le difese di uno che non
mi è simpatico per nulla. Spero che Grillo non vinca la sua
scommessa, ma dalle fabbriche che chiudono, dagli operai bastonati
(gli ultimi di una lunga serie sono gli operai della Thyssenkrupp di
Terni) ed espulsi dal mondo del lavoro, dalle scuole e dagli ospedali
agonizzanti, si leva un grido di dolore che alza ogni giorno la posta in gioco e che può tradursi in un
cupo ritiro melancolico o in una rabbia
cieca, la quale se non incanalata esploderà seminando
detriti tossici in ogni dove e in ogni direzione. Su questa rabbia
scommette Grillo, sulla possibilità di una sua sublimazione feconda,
mostrando la faccia presentabile di un'alternativa che rifiuta il sangue e offre un'uscita dalla crisi in
fondo benevola. Ecco perché Grillo ha bisogno di falangi di fedeli
fortemente coese, pronti a tutto e
senza esitazione, ed ecco perché se ne infischia di apparire
sgarbato o di fare passi falsi, quando ci sarà la resa dei conti e saremo sommersi dalle macerie e avvinti
dalla disperazione, l'unica cosa che conterà sarà quel ve lo avevo
detto, il mantra del Grillo. Siamo in guerra ripete l'ex comico, e in
guerra non ci si possono permettere esitazioni né divisioni, bisogna agire compatti.
Se avrà ragione i suoi detrattori
pagheranno un conto salato, ma tutti noi saremo nelle peste e non avremo altri dispensatori di
speranza che lui.
Se la sinistra, o come vorrà chiamarsi
c'è, batta un colpo, prima che sia troppo tardi.
martedì 4 giugno 2013
Evviva!
Tonino D'Orazio
L’Italia non è più un
paese sorvegliato speciale. Risultato in soli 40 giorni di governo
Berlusconi-Letta-Monti. Anche se non abbiamo votato bene, Napolitano
ha messo a posto le cose per la continuità. Per il 2012 il debito
pubblico (che ormai avrebbero dovuto capire tutti che dentro, per 60%
c’è il debito privato delle imprese e delle banche) raggiungerà,
se ce la raccontano giusta e non farci paura, il 130%.
Evviva! Se il paese
crescerà (sempre aspettando la fase due e non saremo tutti morti di
fame) raggiungeremo l’obbligo europeo del 60% del rapporto tra
debito e Pil, nel 2093. Lo spergiura l’Istat, senza nemmeno
sorridere. Mettiamoci l’anima in pace e continuiamo nel percorso.
Non c’è alternativa. Ci spinge la curiosità di sapere, fino
all’ultimo respiro, che di anno in anno andrà meglio, come
certificano i vari identici governi che si susseguono dall’euro in
poi. Bisogna credere, ormai è una questione di fede e speranza. Tra
l’altro Draghi dice che già andrà meglio nel secondo semestre
2013. Si mettessero almeno d’accordo, rischieremmo di crederci.
Evviva! Ci hanno appena
comunicato ufficialmente che abbiamo 25 anni di ritardo. Da chi, da
che cosa? Perché non dire che siamo tornati indietro di 25 anni? E’
più preciso e sa meno di menzogna, visto che se ne erano accorti
tutti. Però la scientificità, vuoi mettere!
Evviva! L’Istat ci
comunica che per tornare ai livelli occupazionali a cui siamo
abituati dobbiamo aspettare il 2076. Che ci vuole! Se tutto va bene.
Siamo già qui ad aspettare da almeno dieci anni.
Dice l’Ilo
(organizzazione mondiale del lavoro) che all’Italia servono
subito circa 1,7
milioni di nuovi posti di lavoro per riportare il tasso
di occupazione ai livelli pre-crisi. Bel
consiglio.
Evviva! Antica ed
efficace regola per diminuire la disoccupazione. Sono pronti a
lasciare l'Italia -sottolinea la Coldiretti- sia gli studenti (59%)
che i disoccupati (53%), ma anche coloro che hanno già un lavoro
(47%). Questo perché il 73% dei giovani ritiene che l'Italia non
possa offrire in nessun modo un futuro. Chissà se saranno nel 50%
degli astenuti al voto. Quando si dice democrazia, lavoro e futuro.
Evviva la truffa
dell’abolizione dei rimborsi elettorali. I soldi ai partiti vanno
lo stesso. Intanto la data di abolizione, a decrescere, del 2017. ma
per quest’anno i rimborsi non si toccano. Dalla dichiarazione 2015
(per anno 2014) i “partiti” politici riceveranno il 2/mille dai
cittadini tramite la dichiarazione dei redditi sulle persone fisiche,
oltre ovviamente il 60% ancora “dovuto”. Così per gli anni
successivi si somma il vecchio dovuto al nuovo. Altri benefici: la
concessione gratuita di spazi
(anche tv) e servizi, e dal demanio, locali e
palazzi gratuiti. Un affare. Se i cittadini non scelgono, la torta di
800 milioni del 2/mille se la dividono ugualmente, proporzionalmente.
In realtà raddoppieranno i contributi ricevuti, magari prendendosi
anche i soldi rifiutati dal M5S (non è un “partito”!), e diranno
che le riforme promesse vanno avanti. Aspettiamo conferma dal canuto
Napolitano. A meno di devolvere il 2/mille direttamente allo stato.
Quanti lo sapranno e lo faranno? Passata la festa, gabbato il santo.
Invece non è previsto niente per regolare il funzionamento delle
fondazioni politiche e la trasparenza dei partiti stessi. Invece
vengono raddoppiate le esenzioni fiscali alle imprese per le
“donazioni volontarie” ai partiti. Non basta, ancora dal 2014
partiti e movimenti (però!) possono essere ammessi al regime
fiscale agevolato”. Dell’Imu, dell’aumento Iva e del
lavoro non si è ancora sicuri di niente, ma il dibattito sul
presidenzialismo anti-costituzionale, sostenuto dal garante
Napolitano, va avanti. Prossimo presidente-capò sarà ovviamente il
novantenne pluri-indagato e condannato Berlusconi. Quando la
“sinistra” si muove…
Evviva, tra giugno 2012 e
maggio 2013 il Mib segna un +35%. Il Pil è in calo da sette
trimestri consecutivi. Consumi e produzione industriale crollano, la
disoccupazione è ai massimi storici. Uno scollamento sempre più
profondo tra finanza ed economia. Una classica bolla. E prima o poi
le bolle scoppiano, causando disastri economici e sociali. Se non
cambiamo dalle fondamenta l'attuale sistema, il dubbio non è “se”
ma “quando” scoppierà. Ma chi vuole cambiare cosa? Chi conta in
questo momento sta guadagnando forte.
Evviva, c’è l’unità
sindacale sulla rappresentanza. Bene. Certamente. Ma sicuramente un
patto con Cisl-Uil e Confindustria non è mai sufficiente e
affidabile. Sono troppo volubili. E’ necessaria allora una Legge
sulla Democrazia Sindacale, per affermare l’universalità di un
diritto democratico fuori e dentro i posti di lavoro, se si vuole
recuperare al sindacato tutti gli esclusi per legge.
Evviva! La Corte
costituzionale ha dichiarato illegittimo l'articolo 3 della Legge
della Regione Abruzzo (n1.del 10 gennaio 2012) con il quale si è
istituito uno stanziamento di 200 mila euro per i rimborsi ai
cittadini affetti da patologie oncologiche. Morire sì, però in
silenzio. Non si può sforare il bilancio previsto. Il presidente
della regione Chiodi: “Continueremo a cercare soluzioni. Ma no a
strumentalizzazioni macabre”. Ci mancherebbe siamo tutti fair
play.
Ho sicuramente
tralasciato parecchie cose per essere più speranzosi e allegri, ma
non mi andava di parlare di pensioni e pensionati.
domenica 2 giugno 2013
sabato 1 giugno 2013
Prima o poi la bolla arriva
di Andrea Banares da soggettopoliticonuovo
Tra giugno 2012 e maggio 2013 il Mib, il principale indice della
Borsa italiana, guadagna oltre il 35%. Davvero niente male per un Paese
che sta entrando nel settimo trimestre consecutivo di calo del Pil.
Consumi e produzione industriale crollano, la fiducia è ai minimi,
viviamo una stagione di instabilità politica e sfiducia sociale. Ma la
finanza vola. 35% in un anno, un dato che dovrebbe corrispondere a un
vero e proprio boom economico e a una sfavillante fiducia nel futuro.
Cosa sta succedendo, esattamente? Andiamo indietro di qualche anno,
negli Usa. La bolla dei titoli tecnologici esplode a cavallo del nuovo
millennio. Negli anni precedenti i mercati erano in preda a un’euforia
sfrenata, chiunque investisse in una società informatica vedeva il
proprio capitale crescere a dismisura. Il valore di Borsa cresceva al di
là di qualsiasi fondamentale economico. L’aumento della domanda dei
titoli ne faceva salire il prezzo, e l’aumento del prezzo causava un
ulteriore aumento della domanda. La classica bolla finanziaria che si
autoalimenta. Finché un evento in sé limitato non porta qualcuno a
vendere, scatenando l’effetto valanga: le vendite fanno scendere il
prezzo, il che porta altri investitori a disfarsi dei titoli, in breve
si scatena il panico. Facciamo un altro salto all’indietro, di quasi
quattro secoli. Nel XVII secolo i tulipani sono la nuova moda nelle
corti europee. Alla crescita della domanda di bulbi alcuni mercanti
iniziano a comprarli non per coltivare tulipani, ma sperando che il
prezzo continui a salire. Più i prezzi salgono, più persone vengono
attratte da questa speculazione e il fenomeno si auto-amplifica. Nel
1635 un bulbo viene venduto a 5.000 fiorini, mentre un maiale ne costava
30 e una tonnellata di burro 10. Fino all’inevitabile scoppio della
bolla e alla successiva crisi. Due situazioni per molti versi simili.
Cambia però la reazione delle istituzioni. Nel XVII secolo, i giudici si
rifiutano di riconoscere i debiti nati dalla bolla dei tulipani,
equiparandoli a gioco d’azzardo. Nel 2001, quando scoppia la bolla
tecnologica, la banca centrale statunitense taglia i tassi, per fare
ripartire il sistema immettendo più denaro in circolazione. Sto giocando
al casinò, finché vinco mi tengo il bottino, quando perdo mi danno la
possibilità di acquistare nuove fiches a un prezzo scontato, per
continuare a giocare come e peggio di prima. Un gigantesco azzardo
morale. Una montagna di soldi facili che segna l’avvio di una nuova
bolla, questa volta nel settore immobiliare. Com’è andata a finire è
ormai noto: nel 2007 i mutui subprime , il fallimento della Lehman
Brothers e la peggiore crisi degli ultimi decenni. Come se ne è usciti?
Semplice, inondando nuovamente i mercati di soldi. Indebitando gli Stati
per migliaia di miliardi per foraggiare il sistema finanziario
responsabile della crisi e portando i tassi ai minimi storici. Non che
in una situazione di crisi sia sbagliata l’idea in sé di iniettare
denaro pubblico per fare ripartire l’economia, la politica opposta è la
sciagurata austerità che stiamo vivendo in Europa. Ma l’ibrido di
liquidità illimitata per la finanza e austerità per gli Stati e i
cittadini è surreale. I piani di salvataggio arrivano senza condizioni.
Un assegno in bianco dal pubblico al settore finanziario, e si riparte.
Con una bolla del petrolio, poi dell’oro. A cavallo del 2008 il prezzo
del grano e del mais raddoppia sui mercati internazionali, senza che ci
sia alcun motivo reale, una siccità, una grandinata, l’invasione delle
cavallette, che possa minimamente giustificarne l’andamento. Tutto
questo mentre l’austerità e i tagli alla spesa pubblica significano meno
risorse nel sistema economico e recessione. In questa situazione,
naturalmente i capitali si indirizzano verso la speculazione e si
allontanano dalle attività produttive, amplificando la bolla finanziaria
da una parte e la stessa recessione dall’altra. Il sistema bancario
contribuisce in maniera determinante. In Italia, con i tassi di
riferimento così bassi, e un costo della raccolta del denaro che rimane
alto, è difficile guadagnare su prestiti e mutui. Le difficoltà di
famiglie e imprese nel restituire i prestiti portano inoltre all’aumento
delle sofferenze bancarie e dei crediti deteriorati. Per fare quadrare
il bilancio, si investe massicciamente in titoli finanziari. L’attività
bancaria si sposta dai prestiti agli investimenti di portafoglio.
Ulteriori risorse sottratte all’economia e immesse nella finanza. Somme
stratosferiche circolano tra i mercati di tutto il mondo, ma in Italia è
praticamente impossibile ottenere un mutuo sulla casa e le imprese non
hanno accesso al credito. Un sistema incredibilmente inefficiente, in
quanto necessità di enormi risorse per portare a termine il proprio
compito, e altrettante inefficace, in quanto non riesce nemmeno a
realizzare tale compito in maniera accettabile. Questa finanza non è più
uno strumento al servizio dell’economia. È un fardello insostenibile,
un gigantesco bidone aspiratutto sopra le nostre teste. È questa la
posta in gioco quando parliamo di chiudere il casinò finanziario,
limitare l’uso dei derivati, contrastare i paradisi fiscali, introdurre
dei controlli sui movimenti di capitali, tassare le transazioni
finanziarie. Sottoporre la finanza a una rigida cura dimagrante. Il
problema non è che non ci sono i soldi, come ci ripetono
quotidianamente. Il problema è che ce ne sono troppi. Ma sono tutti
dalla parte sbagliata. Il Mib segna un +35%. Il Pil è in calo da sette
trimestri consecutivi. Uno scollamento sempre più profondo tra finanza
ed economia. Una classica bolla. E prima o poi le bolle scoppiano,
causando disastri economici e sociali. Se non cambiamo dalle fondamenta
l’attuale sistema, il dubbio non è “se” ma “quando” scoppierà. Dopo di
che, anche sull’ipotizzare chi verrà riempito di soldi e liquidità
perché è too big to fail , e chi al contrario rimarrà con il cerino in
mano a pagare un conto fatto di sacrifici, disoccupazione, precarietà e
piani di austerità, i dubbi sono abbastanza pochi.
Fonte: Il Manifesto 01.06.2013
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