mercoledì 10 giugno 2015

L'immigrato è una persona, ma anche no

Mi sto convincendo di un fatto preoccupante: il fenomeno immigrazione in un contesto di disincanto generale e di assenza di sovrastrutture mentali generate da grandi narrazioni o da religioni, sta provocando una mutazione antropologica e anche cognitiva in noi occidentali. È vero che la religione cattolica ha ancora una notevole influenza, ma l'idea del prossimo e di amore incondizionato per questo crea oggigiorno un legame troppo lasso fra l'individuo e la sua identità religiosa. Vedi i leghisti ad esempio.
La fede e l'ideologia più della razionalità rappresentano un generatore di realtà che ti consente di riconoscere l'individuo della tua specie come simile, permettendoti di stabilire con questi una connessione emotiva e di seguire un dettato etico indipendente dalla esperienza soggettiva e dalla inclinazione personale. Se io mi prodigo per l'immigrato lo faccio perché l'altro uguale a me mi vincola come imperativo etico e in ragione di una consonanza emotiva. Ovviamente tutto ciò può essere sovrastato da altri fattori, quali le condizioni economiche e sociali e una biografia personale condizionata da esperienze negative, ma oggi la spersonalizzazione del migrante dovuta alla paura atavica dell'invasione si sta fondendo col cinismo di chi razionalizza le sue paure con equazioni elementari che vedono nella solidarietà una variabile non necessaria: della serie perché devo occuparmi dei migranti, cosa hanno mai fatto loro per me?
Vedo persone buone digrignare i denti contro gli immigrati e prendersela contro “il solito buonismo della sinitra”, incapaci di leggere nei propri comportamenti una crisi di valori e una panico da ignoto e vedo persone che considerano il sentimento una debolezza e la solidarietà un lusso che non possiamo permetterci, perchè siamo troppi e non c'è più posto.
Purtroppo, questa sorta di sociopatia collettiva è scarsamente controbilanciata da una considerazione puramente razionale che vede nella solidarietà e nell'altruismo una scelta conveniente per la comunità tutta, che travalica il senso etico e la compassione.
Non vedo soluzioni nell'immediato se non sforzarsi di far riemergere nelle persone un senso di partecipazione alla vita collettiva con conseguente assunzione di responsabilità.
Certo è che con l'immigrazione rischiamo grosso, poiché i vari Salvini e compagnia sono solo un alibi per la paura e l'odio verso l'invasore e non prospettano alcuna soluzione realistica. Ed è altrettanto certo che con l'austerità che abbrutisce le persone sarà sempre più difficile che queste si protendano verso l'altro.
Per una volta sono pessimista sul serio.


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