venerdì 12 giugno 2015

La «stabilità dei mercati» contro la democrazia

di Marco Bascetta da Il Manifesto


Ale­xis Tsi­pras lo ha dichia­rato nella maniera più sem­plice e lineare pos­si­bile. La posta in gioco nella logo­rante guerra di trin­cea che da mesi oppone Atene a Bru­xel­les e Ber­lino, occu­pando, quasi per intero, la scena euro­pea è «l’ammissione di un fallimento».
Un fal­li­mento teo­rico, eco­no­mico e, soprat­tutto sociale e poli­tico. Dopo anni di appli­ca­zione delle poli­ti­che di auste­rità impo­ste e pilo­tate dalle isti­tu­zioni euro­pee nes­suno dei risul­tati pro­messi è stato raggiunto.
Ren­dendo chiaro ai più che l’indebitamento, e il suo costo cre­scente, sono sostan­zial­mente ine­sau­ri­bili, un mec­ca­ni­smo desti­nato a ripro­dursi all’infinito e non solo in Gre­cia. Si tratta, infatti, di un gigan­te­sco pro­cesso di con­cen­tra­zione della ric­chezza desti­nato a pro­trarsi fino a quando una forza poli­tica di senso con­tra­rio (e non certo su scala nazio­nale) non inter­venga ad arre­starlo e inver­tirne la rotta.
La vit­to­ria di Syriza ad Atene è stata, prima di ogni altra cosa, la piena per­ce­zione di que­sto fal­li­mento da parte dei cit­ta­dini greci. Favo­riti, in que­sta con­sa­pe­vo­lezza, dall’averlo vis­suto sulla pro­pria pelle. Ciò che il pre­mier greco pre­tende ora è che anche gli arte­fici delle poli­ti­che che hanno con­dotto a que­sto disa­stro rico­no­scano l’errore ces­sando di riba­dire insi­sten­te­mente, come un disco rotto, i ver­setti sata­nici della loro dot­trina. È del tutto evi­dente che non inten­dono farlo per­ché anche la più pic­cola crepa nel for­ti­li­zio, cui una incon­sa­pe­vole comi­cità affida la «sta­bi­lità dei mer­cati», rischie­rebbe di ren­dere peri­co­lante l’intero edi­fi­cio. L’ assunto è che, con altre poli­ti­che, i conti, più che non potere, non devono tor­nare. E, pur­tut­ta­via, sul fronte della poli­tica, imba­razzi e scric­chio­lii comin­ciano a mostrarsi. Per­fino la ultra­con­ser­va­trice Frank­fur­ter All­ge­meine, ini­zia a doman­darsi timi­da­mente cosa sia andato storto nelle ricette restrit­tive. Gli argo­menti a loro favore si fanno, infatti, sem­pre più impro­ba­bili, sem­pre meno prag­ma­tici e sem­pre più ideo­lo­gici.
Un impa­reg­gia­bile Lorenzo Bini Sma­ghi, già alto fun­zio­na­rio della Bce, sostiene che la demo­cra­zia greca (secondo la ben nota for­mula che Stuart Mill appli­cava alla libertà) debba tro­vare il suo limite in tutte le altre demo­cra­zie dell’eurozona in cui si sup­pone che l’austertà goda di un indi­scusso entu­sia­smo popo­lare. Come se le poli­ti­che eco­no­mi­che euro­pee fos­sero sot­to­po­ste a una qual­che forma di con­trollo demo­cra­tico e come se la grande mag­gio­ranza dei cit­ta­dini euro­pei potesse trarre, come il capi­tale finan­zia­rio, qual­che van­tag­gio dallo stran­go­la­mento di Atene. Forte è la ten­ta­zione di rispon­dere con la bat­tuta di un cele­bre film di Elio Petri: «Ma che min­chia c’entrano con la demo­cra­zia!» Fatto sta che que­sto è il livello di cul­tura poli­tica dei «tec­nici» che spe­diamo a Francoforte.

Quanto alla sco­lo­rita social­de­mo­cra­zia euro­pea, non è certo da meno. Il pre­si­dente dell’Europarlamento, il social­de­mo­cra­tico Mar­tin Schulz non trova di meglio dal dichia­rare che Tsi­pras e Varou­fa­kis gli danno sui nervi e di que­sta sto­ria greca non se ne può dav­vero più. Qual­che com­men­ta­tore in Ger­ma­nia, come Wol­fgang Muen­chau su der Spie­gel, si sor­prende che la Spd, potendo con­tare fra l’altro sulle cre­scenti divi­sioni in seno alla Cdu tra la Can­cel­liera Angela Mer­kel e i pasda­ran del rispar­mio a tutti costi, a par­tire dalla que­stione della Gre­cia non colga l’occasione per intro­durre qual­che ele­mento di argine alle logi­che del rigore, sul piano euro­peo e su quello interno. Ma, invece di spin­gere Mer­kel a un com­pro­messo con Atene, anche con­tro buona parte del suo par­tito, (cir­cola voce che i poteri deci­sio­nali di Schau­ble siano stati alquanto ridi­men­sio­nati) i social­de­mo­cra­tici sem­brano col­lo­carsi piut­to­sto sul fronte dello zelo restrit­tivo. Insomma, una occa­sione inspie­ga­bil­mente per­duta. Ma forse, invece, una spie­ga­zione c’è. Le forze di sini­stra pie­na­mente con­ver­tite al neo­li­be­ri­smo, dalla Spd, al Pd, allo spet­trale Par­tito socia­li­sta fran­cese, mal dige­ri­scono pos­si­bili con­fronti con le aspi­ra­zioni poli­ti­che di Syriza e con la rin­no­vata demo­cra­zia greca. E allora si capi­sce che la capar­bia resi­stenza di Atene possa dare sui nervi. Non è dun­que sor­pren­dente che pro­prio que­ste forze tifino, più o meno aper­ta­mente, per una par­ziale capi­to­la­zione della Grecia.
Ma c’è anche un’altra voce che da sui nervi ai fal­chi di Ber­lino: è una voce grossa, quella ame­ri­cana, che non cessa di eser­ci­tare pres­sioni per­ché i tede­schi allen­tino i cor­doni della borsa e comin­cino a pre­oc­cu­parsi di espan­sione in Europa.
È vero che Washing­ton, come azio­ni­sta di mag­gio­ranza dell’Fmi, potrebbe influire diret­ta­mente sulla situa­zione greca. Ma anche da quelle parti nes­suno vuole met­tere in que­stione i dogmi del cre­dito (espo­nen­dosi a ulte­riori pre­tese e richie­ste) e sarebbe dun­que pre­fe­ri­bile agire per inter­po­sta Europa. Intanto, in Ger­ma­nia, come testi­mo­nia una ricerca citata ieri da Rita di Leo su que­sto gior­nale, cre­sce la dif­fi­denza dei tede­schi nei con­fronti della Nato e una sostan­ziale indi­spo­ni­bi­lità (le cui cause sto­ri­che e i cui inte­ressi eco­no­mici non sono dif­fi­cili da imma­gi­nare) a lasciarsi coin­vol­gere diret­ta­mente in un even­tuale scon­tro sui con­fini orientali.
Fatto sta che la com­pre­senza di una osti­lità verso la Nato (per quanto peri­co­losa e inco­sciente si riveli la sua poli­tica nei con­fronti della Rus­sia) e la pre­tesa di eser­ci­tare una ege­mo­nia euro­pea attra­verso l’imposizione dei pro­pri modelli eco­no­mici spinge nella dire­zione del nazio­na­li­smo tede­sco. Il cosid­detto Gre­xit fer­me­rebbe del tutto il corso, già piut­to­sto sgan­ghe­rato, della costru­zione poli­tica euro­pea. E senza Europa poli­tica una Ger­ma­nia «anti­a­tlan­tica» rap­pre­sen­te­rebbe una pro­spet­tiva deci­sa­mente inquie­tante. Angela Mer­kel ha dun­que sva­riate ragioni poli­ti­che, imme­diate e di più lunga pro­spet­tiva, per chiu­dere un ono­re­vole com­pro­messo con la Gre­cia di Tsi­pras. Ma dovrà fare i conti con i pre­giu­dizi e gli acce­ca­menti ideo­lo­gici che il suo stesso par­tito ha con­tri­buito a dif­fon­dere nell’opinione pub­blica tede­sca, non­ché con i Fachi­dio­ten, gli «idioti spe­cia­liz­zati», cui ha affi­dato il governo eco­no­mico dell’Unione.

2 commenti:

  1. In Europa l'arma principale (non certo l'unica) dei tecnocrati e della finanza neoliberista è proprio l'euro. Una moneta creata appositamente per permettere politiche deflazionistiche "al riparo dei processi elettorali". Fuori dall'Euro non sarà facile, ma dentro di sicuro si agonizza e si muore.

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