martedì 2 giugno 2015

Festeggiare il 2 Giugno con un’Alleanza anti-Renzi


di Angelo d’Orsi da Micromega


I risultati delle Regionali, in attesa dei dati completi, implementati da quelli delle Comunali, là dove si vota, sono particolarmente interessanti e tutto sommato incoraggianti.

Se l’obiettivo primo di chiunque abbia a cuore la democrazia in Italia era e non poteva che essere fermare il nuovo piccolo duce che regna a Palazzo Chigi, l’obiettivo è stato sostanzialmente raggiunto, anche se, lo dico subito, la situazione resta pessima. Del resto, le forzature che Renzi sta compiendo su ogni fronte lo hanno messo in oggettiva difficoltà. Il sindacato, gli insegnanti, gli studenti, una fetta non irrilevante del suo partito…, tutto insieme, è “troppa roba”, come potrebbe dire egli stesso nel suo insopportabile lessico giovanilistico. E credo che in realtà proprio la lotta sul fronte della scuola sia stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Una parte del suo elettorato (gli insegnanti e spesso i genitori degli alunni, il “ceto medio riflessivo”, insomma) gli ha voltato le spalle, rafforzato in tale orientamento dalle evidenti prese di distanza da Renzi di una cospicua parte della leadership storica del PD, oltre che praticamente da tutto il mondo sindacale.

L’imposizione di candidate tirate fuori dal cilindro, come le modestissime e discusse Moretti e Paita, al limite della impresentabilità, convinto che il proprio carisma di capo le avrebbe sostenute, si è rivelato un errore fatale. Ed è fin troppo facile osservare che là dove il PD ha vinto lo ha fatto con candidati non renziani, anzi perlopiù appartenenti alla vecchia classe dirigente che il fiorentino avrebbe voluto rottamare, e alla quale ora è costretto ad aggrapparsi. E uno di tali candidati, l’ormai mitico De Luca, rischia di saltare prima di mettersi in sella; e, aggiungasi, in Piemonte è assai probabile si torni alle urne per irregolarità nella raccolta delle firme, per cui lo stesso Chiamparino, attuale presidente plebiscitario, venga rimesso in discussione.

La reazione del leader davanti ai risultati, e la sua provvidenziale uscita di scena, ne evidenziano la situazione di debolezza. Situazione da cui certamente può uscire, ma pagando dei prezzi che probabilmente per stoltezza non vorrà sottomettersi a pagare: la rinegoziazione col sindacato, innanzi tutto, sulla scuola, la ricerca di una intesa con la minoranza interna, e la messa da parte della sicurezza ostentata in modo pervicace, e crescente, negli ultimi mesi, passando da battute sprezzanti a vere e proprie ingiurie dirette a chi lo contestava, in un repertorio di notevole bassezza culturale e miseria morale. La sua forza insomma si era trasformata in arroganza, e questa lo ha oggi condotto alla prima vera battuta d’arresto nel suo percorso.

Se fosse davvero un politico, Matteo Renzi potrebbe trarne le conseguenze e quanto meno aggiustare il tiro, ma come psittacisticamente hanno cantato in coro i suoi gregari, non intende deflettere: “si va avanti”. Che non può non evocare, agli italiani, il “Noi tireremo diritto” di mussoliniana memoria. Andando avanti, tirando diritto, si rischia di sbattere il muso. Ed è finalmente accaduto. E le spiegazioni risibili, relativamente al voto ligure, di Orfini, Serracchiani e gli altri e le altre del cerchio magico intorno al leader, suonano ricattatorie come prima lo erano stati i minacciosi inviti a votare per la candidata renziana. La colpa è di chi non l’ha votata, insomma, e non di chi ha voluta imporla, truccando le carte.

Ma dalla Liguria l’eccellente risultato della meritevolissima candidata M5S è un ottimo segnale; al di là del giudizio complessivo che si voglia dare del movimento di Grillo e Casaleggio, non v’è dubbio che sia M5S la forza uscita (relativamente) vincitrice dalla competizione. Esito sia della pochezza e della implosione strisciante dentro il PD, e della polarizzazione a destra dell’elettorato moderato, verso la Lega dell’iperattivo (e sempre più agghiacciante) Salvini, sia però anche dalla svolta più “politica” del movimento, che ha cominciato non da oggi, al di là di sbandamenti e oscillazioni, a capire come funziona l’azione politica in seno alle istituzioni, e come muoversi al loro interno. E ne coglie i frutti.
Tutto ciò in assenza di una forza autenticamente di sinistra, capace di unire, nella lotta al neoliberismo e alla corsa verso il “superamento” della democrazia e la cancellazione dello Stato sociale, le sparse membra di un elettorato orfano, sottorappresentato.

Del resto, al di là della sconfitta di Renzi e della catastrofe di Forza Italia (la vittoria di Toti è una classica vittoria di Pirro, e del resto peggio del PD nella gestione della Regione mi pare difficile fare), e dell’ottimo esito M5S, il dato più rilevante, che conferma, mi pare, quanto detto sin qui, è l’aumento enorme del rifiuto del voto. Ormai una metà dell’elettorato non va alle urne. Un partito di senza partito in grado di cambiare gli assetti politici del Paese. Una massa di milioni di cittadini e cittadine sconcertati dai fenomeni ormai endemici e generali di corruzione, disgustati dalla deriva del fu partito della classe operaia, depressi per le troppe delusioni dei tanti abborracciati tentativi di dar vita ad “alternative”.

Syriza e Podemos sono lontani, ma non possiamo rimanere sordi davanti ai loro messaggi. E “l’Altra Europa” sta dando la pessima prova di sé che molti temevano. Una centurie di micropartiti che si collocano alla sinistra estrema, non sembra avere reali chances di rilanciare le sorti di una opposizione forte e coesa. E allora non rimane, nell’attesa di tempi migliori, lavorare per costruire una vera alternativa sistemica, lavorare guardando a quella metà di connazionali che non hanno votato, ma anche all’elettorato M5S con cui si può tentare di aprire un vero dialogo, a mio avviso più produttivo di un rapporto con qualche transfuga dal PD.

Peraltro, tutti coloro che contestino Renzi, e non si collochino sulle sponde leghiste, sono i benvenuti nella nuova necessaria Alleanza per la salvezza della democrazia (che significa anche e oserei dire innanzi tutto del welfare state). Cominciare subito, cogliendo la ricorrenza del 2 giugno. La festa della Repubblica diventi l’occasione per far ripartire uno sforzo comune in tale direzione. E il risultato elettorale può rappresentare un buon punto di partenza. 

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