giovedì 9 febbraio 2012

Quarant'anni dalla vostra parte

Cari compagni, perdonate la presunzione da uno che vi ha letto e sostenuto per circa 40 anni, ma voglio dirvi che il vostro fallimento non ha alla base solo cause economiche o l'incidenza di calamità naturali come il terremoto, le inondazioni, le cavallette. Il vostro insuccesso è principalmente figlio di una patologia agorafobica conseguente alla vostra paura di affrontare il rischio di uscire dal proprio recinto e al medesimo tempo di aprire l'uscio casa ad esperienze e soggettività diverse. 
Il manifesto ha fallito non solo perché ciò in cui ha sempre creduto non si è mai realizzato: le diseguaglianze sono aumentate, i diritti dei lavoratori sono stati rimessi in discussione e il capitalismo si è trasformato attraverso le sue crisi senza mai essere stato messo seriamente in discussione, tant'è che il liberismo è diventato un assoluto dal quale non si può prescindere, ma soprattutto perché non è riuscito a far credere sul serio che esistessero possibilità alternative. Non ha saputo connettersi ad altre realtà ed esperienze internazionali e non ha nemmeno saputo suscitare un dibattito visibile sulla natura del capitalismo. Non dico che voi potevate salvare il mondo, ma avevate il carisma e l'autorità per offrire spazi e competenze per un laboratorio politico di alternativa. Potevate lanciare proposte in maniera più convinta,  che dessero la speranza concreta di un'alternativa politica all'attuale sistema, tentare di coagulare attorno a voi le forze migliori delle società. Chi meglio di voi poteva farlo? Solo di recente avete avuto la brillante intuizione del "benecomunismo", senza però riuscire a tradurlo in consensi e proposte politiche. Diciamocela tutta, capisco che siete solo giornalisti, ma limitarsi alla notizia con qualche pur buona analisi, sapendo che tale materiale è rintracciabile in rete in milioni di altre fonti, non è sufficiente per un giornale che nasce con la vocazione di essere parte di un progetto rivoluzionario. Eppoi avete un brand che solo a nominarlo avrebbe potuto attirare nicchie di mercato sufficienti a sostenere non uno ma mille giornali. Non avete avuto la capacità o la volontà di sfruttarlo, aspettando invano introiti pubblicitari che non sono mai arrivati. 
Ve lo dico con affetto: siete degli incapaci, e l'esistenza di un giornale come il Fatto Quotidiano, che sopravvive senza alcun contributo pubblico  lo dimostra ampiamente, ma come si suol dire "siete i nostri incapaci"e guai a chi vi tocca.


Il ministero dello Sviluppo ha avviato la procedura di liquidazione coatta amministrativa della nostra cooperativa, a cui non potevamo più opporci. Ma nonostante i limiti imposti da una ristrutturazione durissima e sacrifici senza precedenti, il giornale resta in edicola. Oggi alle 14 conferenza stampa in redazione 


È il momento più difficile della storia quarantennale del manifesto. Chi ci segue sa che l'allarme l'avevamo lanciato da tempo. Che non era un «al lupo, al lupo» né una delle infinite crisi che con l'aiuto di decine di migliaia di sostenitori siamo riusciti a superare dal 1971 a oggi. 

Il ministero per lo sviluppo economico ha ufficialmente avviato la procedura di liquidazione coatta amministrativa della cooperativa editrice del manifesto. Ma il giornale resta in edicola e rilancia. Perché non è finita finché non è finita.
Questa procedura particolare - alternativa alla liquidazione volontaria - cautela la cooperativa da eventuali rischi di fallimento. E' una procedura estrema, riservata a soggetti per loro natura fragili come le cooperative, che non hanno «padroni» che ogni anno ripianino i debiti o raccolgano i profitti.
Da oggi il manifesto entra in una terra sconosciuta. I casi di cooperative editoriali che hanno attraversato questa procedura sono rarissimi, forse è addirittura un inedito. Una delle tante «prime volte» che il manifesto, giornale quotidiano e forma originale della politica, ha sperimentato sulla sua pelle nei suoi primi 40 anni. I dettagli «tecnici» di quello che accadrà li daremo oggi in una conferenza stampa (alle 14 qui in redazione, via Angelo Bargoni 8, Roma). Per adesso però non sono la cosa più importante.
Banalmente: oggi il manifesto spende più di quanto incassa. E' una debolezza cronica e strutturale, aggravata dal taglio drastico e retroattivo dei contributi pubblici per l'editoria non profit. Il manifesto ha lanciato sottoscrizioni e campagne di sostegno ancora prima di nascere. Non è «piagnisteo»: è nel suo Dna. Senza non potrebbe vivere. E' un'impresa comune costruita senza padroni. Né occulti né palesi. I «padroni» del manifesto sono chi ci lavora e chi lo legge.
Per questo stavolta alla procedura indicata dal ministero non potevamo più opporci. Dal 2008 cala la pubblicità, le vendite vanno e vengono (incoraggianti a novembre e dicembre, in lieve calo a gennaio) e senza il contributo pubblico (che era previsto) il bilancio del 2011 non si può chiudere. E' l'aritmetica perversa dei fondi editoria, che vengono erogati nel 2012 come rimborso del 2011. Nonostante le promesse di intervento fatte dal presidente del consiglio Mario Monti e l'esplicita richiesta in tal senso del presidente della Repubblica, a oggi nessuna soluzione è stata trovata.
Restiamo noi e voi. Siamo la stessa cosa, ma noi abbiamo il dovere di spiegarvi quello che abbiamo fatto. Sul manifesto circolano moltissime leggende metropolitane e qualche lacrima di coccodrillo. Sono tempi brutali per tutti e non c'è da stupirsi.
Però sfatiamo alcuni luoghi comuni. I sacrifici che abbiamo fatto in questi anni sono senza precedenti. Abbiamo ridotto tiratura e distribuzione all'osso (p.s. le edicole sono 30mila e più di tanto non si può tagliare, già adesso il giornale si trova poco e male). Siamo l'unico quotidiano nazionale non full color: questo ci fa risparmiare in tipografia ma ci rende meno appetibili per la pubblicità. Di recente abbiamo aumentato il prezzo, ridotto la foliazione e portato Alias e la TalpaLibri dentro il quotidiano. In questi anni durissimi abbiamo messo a punto tutto. Siamo in ristrutturazione industriale più o meno dal 2006 e il sacrificio più grande lo stanno facendo soprattutto i lavoratori (che sono anche gli editori di se stessi).
Parlano i bilanci. Nel 2006 il manifesto aveva 107 dipendenti. A febbraio sono 74 (52 giornalisti e 22 poligrafici). Di questi 74, però, la metà è in cassa integrazione a rotazione. Per cui il giornale che leggete (dal 2010 a oggi) è fatto, materialmente, da circa 35 persone. Troppe? Troppo poche? Scarse? Brave? In numeri: dal 2006 al 2010 il costo del lavoro è diminuito del 26%, con un risparmio annuo di 1,1 milioni di euro. Nel triennio 2008-2010 i costi industriali si sono ridotti di 2 milioni e mezzo. I costi generali del 20 per cento. E visto che parliamo di soldi e di mercato, tra noi tutti riceviamo più o meno lo stesso salario, dalla direttrice alla centralinista: circa 1.300 euro netti al mese.
Il manifesto però è innanzitutto un progetto politico. Questo giornale può migliorare e cambiare molto ma non può mutare natura. Non potrebbe esistere senza il contributo di chi, da anni, lavora e scrive gratuitamente, dai fondatori al più giovane dei collaboratori. Più che ai nostri stipendi (che pure contano e non arrivano) il primo pensiero di ogni giorno è il nostro/vostro giornale. Da oggi lo sarà ancora di più.

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