sabato 5 maggio 2012

Università: la rivolta dei ricercatori contro i concorsi manipolati


Fabio Sabatini da Micromega

L’università italiana sta cambiando. Non solo per le riforme, l’internazionalizzazione della ricerca e l’introduzione di nuovi sistemi di valutazione della produzione scientifica. I giovani ricercatori hanno cominciato a ribellarsi contro i concorsi manipolati. In modo organizzato, con azioni collettive da manuale che, negli ultimi mesi, hanno portato a bloccare due concorsi sospetti.
Ad avviare la mobilitazione sono stati gli economisti, su Facebook. Qui il gruppo “Secs in the cities”, nato come forum di discussione per ricercatori in cerca di lavoro, si è spontaneamente trasformato in un watchdog dei concorsi (il nome del gruppo deriva dal prefisso utilizzato dal Ministero dell’Università per identificare ai fini concorsuali i settori scientifico-disciplinari dell’area di Economia e Statistica).
Negli ultimi mesi le iniziative del “Secs-team” hanno portato all’annullamento di un concorso da ricercatore in economia politica presso l’Università del Piemonte Orientale e al differimento della nomina del vincitore di un concorso in politica economica presso l’Università dell’Insubria. In entrambi i casi il posto era stato vinto dal candidato che, secondo la denuncia del gruppo, aveva meno titoli rispetto agli altri concorrenti ma poteva vantare uno stretto legame professionale con il presidente della commissione giudicatrice. Un riassunto degli eventi si può trovare qui e qui.
La notizia di oggi è che cinque candidati del concorso dell’Insubria hanno presentato ricorso al Tar contro l’esito della procedura (i cui verbali sono disponibili sul sito dell’ateneo). Il Secs-team ha diffuso presso la sua mailing list un comunicato in cui annuncia l’avvio di una raccolta fondi per sostenere il ricorso.
Come si legge nel comunicato, “Oltre a rendere possibile l’azione legale in oggetto, tale sostegno fornirebbe infatti una dimostrazione inequivocabile del fatto che la comunità scientifica nazionale non è disposta ad assistere inerte all’attuazione di cattive pratiche nelle procedure di reclutamento, e intende agire concretamente per scoraggiarle”. La speranza degli estensori del comunicato è che la disapprovazione mostrata da una parte del mondo accademico in occasione dei concorsi contestati possa tradursi in un sostegno concreto.
Il link per effettuare la donazione si trova qui.
A mio parere ci sono diverse ragioni per contribuire alla raccolta fondi.
L’azione legale intrapresa dai candidati dell’Insubria è coraggiosa e meritoria, e non possiamo lasciarli soli. Uno dei deterrenti che impediscono ai ricercatori precari di ribellarsi ai concorsi manipolati è infatti il costo molto elevato dei ricorsi. I baroni lo sanno e ne approfittano, confidando nel fatto che la reazione dei candidati esclusi sarà nella maggior parte dei casi limitata a un effimero moto di indignazione. Oltre ai problemi finanziari, i potenziali ricorrenti spesso temono ritorsioni. È importante dimostrare che non hanno nulla da temere, perché il mondo accademico è sano e condivide pienamente la richiesta di trasparenza di chi denuncia le scorrettezze.
Al di là del concorso specifico, la partecipazione collettiva al finanziamento del ricorso corrisponde inoltre a un interesse generale, dato che, in caso di successo, recapiterà un segnale molto chiaro a tutti coloro che vogliono gestire le procedure di valutazione in modo poco trasparente: la comunità scientifica non ci sta, e oltre a firmare una petizione i ricercatori sono disposti anche a mettere mano al portafoglio.
L’interesse generale è ancora più esteso se consideriamo che una cosa del genere non era mai successa all’Università. Si tratta di una iniziativa “rivoluzionaria”, che nel suo piccolo dà un colpo alla cultura familista e particolarista che da secoli frena il rinnovamento delle istituzioni e lo sviluppo del nostro paese.

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