lunedì 21 maggio 2012

I derivati di JP Morgan: l’avidità stavolta non paga. Proteste negli Usa


Speculatori, squali, mezze cartucce e i soliti discorsi su un modello che non si può cambiare...ma i risparmiatori hanno una grande carta da giocare


da investireoggi


Se è capitato anche a JP Morgan Chase, allora può succedere a tutti. Questo è un pò il tormentone degli ultimi giorni a Wall Street e presso tutte le altre sedi finanziarie del pianeta. La seconda più grande banca americana aveva una reputazione di ferro, fino a pochi giorni fa, perché era uscita indenne dalla crisi finanziaria 2007-2009, senza mai registrare una trimestrale in perdita. Ma due settimane fa, il Ceo Jamie Dimon, considerato un guru nascente della finanza americana, ha dovuto comunicare alla Sec che la sua banca ha accumulato in sole sei settimane perdite per 2,3 miliardi di dollari, a causa di operazioni sbagliate su titoli derivati.
In sostanza, la banca aveva effettuato investimenti ingenti, per almeno 100 miliardi di dollari, in titoli di protezione dal rischio, gli assicurativi cds (credit default swaps), ma andando nella direzione sbagliata (JP Morgan: dopo lo scandalo cadono le prime teste)
Una scommessa persa, insomma, che è costata cara alla banca e che ha travolto il suo management, con le dimissioni di Ina Drew, che sovraintendeva alle operazioni di “hedging”, le quali in teoria avrebbero dovuto assicurare dal rischio, ma nella pratica hanno condotto la banca in un gigantesco buco contabile.
Reputazione addio anche per Bruno Iksil, il trader di origine francese, che attuava le operazioni e che era stato chiamato il “London Whale”, “la balena di Londra”, a sottolinearne l’importanza. Tutti travolti dalla crisi dei derivati, su cui le perdite potrebbero arrivare presto fino alla cifra di 4 miliardi, spiegano gli analisti.

Lo scontro politico negli Stati Uniti: i Repubblicani a difesa di un cadavere

Da un punto di vista puramente contabile, la perdita è del tutto assorbibile, anche se dovesse arrivare a 5 miliardi, se si pensa che la banca ha chiuso il primo trimestre con un utile superiore ai 5 miliardi. Tuttavia, il caso JP Morgan sta suscitando un accesso dibattito politico sulla cosiddetta legge Dodd-Frank, che prende a sua volta spunto dalla Volcker Rule, dal nome dell’ex governatore della Federal Reserve, che dai prossimi mesi in poi dovrebbe impedire a un istituto di credito americano di effettuare operazioni speculative con capitali propri, a meno che ciò non avvenga per ragioni di “hedging”.
Ora, questa postilla è stata il frutto di un’intensa attività di lobbismo da parte delle banche, che ha addolcito un pò la norma voluta dai democratici e dalla Casa Bianca. Tuttavia, è lo stesso Dimon a chiarire che tale norma non avrebbe alcun effetto su una situazione alla JP Morgan, visto che la sua banca si era avvalsa di un’unità formalmente esterna, la Chief Investment Office, per fare gli investimenti.
Obama vorrebbe approfittare del caso, per cercare di stringere maggiormente sulle regole di Wall Street. I repubblicani non concordano. Lo sfidante Mitt Romney si è detto contrario a qualsiasi forma di regolamentazione, sostenendo che il caso della banca americana dimostra che uno ci perde, ma un altro ci guadagna. L’America va così, ha aggiunto.

Una massa di derivati che non hanno alcun rapporto con quella che è l’economia reale

I timori degli investitori si concentrano, invece, su quella massa enorme di titoli derivati, che nel mondo ammonta a 650 mila miliardi di dollari, cioè 10 volte in più del pil mondiale.
E si pensi che la variazione dello 0,25% dei tassi d’interesse ha spostato posizioni nozionali di investimento per 150-200 miliardi di dollari, quindi, basta un nonnulla per variazioni molto forti.
D’altronde, è difficile che una legge possa impedire un’operazione di “hedging”, ossia di tutela dal rischio. Un cds, ad esempio, è un vero contratto di assicurazione, che permette a un investitore di tutelarsi dal rischio sottostante, come abbiamo visto per il caso dei bond pubblici. Più sono considerati rischiosi, più costa tutelarsi dal rischio default, perché bisognerà pagare un interesse maggiore. Il problema di JP Morgan è che ha perso la scommessa, nel senso che non è stata in grado di capire in quale direzione andasse il rischio, se al rialzo o al ribasso. Ora, è evidente che la Drew non aveva acquistato 100 miliardi di titoli per tutelarsi dal rischio, bensì per fare pura attività di speculazione, nel senso che avrebbe voluto fare soldi, investendo soldi.
Ma se vendi un cds, pensando che il rischio del titolo sottostante scenda, ma poi sei costretto a riacquistarlo a prezzi più alti, perché nel frattempo il rischio è, invece, salito, allora hai subito una perdita. A meno che tu voglia rinunciare a tutelarti, cosa che non puoi fare allegramente con i soldi dei risparmiatori.

I risparmiatori possono fare tanto contro gli zombi della finanza

La storia di JP Morgan insegna qualcosa di meno scontato di quanto si è andato raccontando in questi giorni sui giornali. Il problema non è tanto regolamentare i derivati, perché piaccia o meno saperlo, ciò non sarà mai del tutto possibile, né forse sarebbe auspicabile, per i danni che rischierebbe di comportare. Il vero guaio è che grandi esperti della finanza mondiale non sembrano essere in grado di percepire anche il futuro immediato. Il mondo sembra diventato così complesso, che non un Dimon, un Iksil o una Drew sono più capaci di capire dove vada il rischio e in cosa bisogna investire. Ciò è dovuto a cosa? Difficile dirlo. Certo, non sarà questione di preparazione, quanto semmai di eccessiva imprudenza di chi compie determinante operazioni, oltre alla fase turbolenta e scarsamente prevedibile dei mercati finanziari stessi. Ma è amaro constatare che contro l’imprudenza non esiste legge possibile. L’unico antidoto sta nelle mani dei risparmiatori, che dovrebbero iniziare a discernere anche le banche a cui affidare i propri quattrini. Se pensi che la tua banca non investa in attività reali, ma faccia più che altro speculazione con i tuoi soldi, portali altrove. Nessuna legge sarà in grado di mettere in riga il finanziere spericolato, come un risparmiatore incavolato e timoroso dei suoi denari.

Per un’economia della realtà

Iniziamo a punire seriamente dal basso chi sbaglia, evitando di delegare agli altri questo compito. Solo premiando chi fa bene, si indirizzano i manager a fare meno cattiva finanza e più investimenti oculati. Ma forse un pò tutti siamo colti dalla smania di fare tanti soldi, subito e senza lavorare. E l’eccessiva avidità scriteriata è sempre alla base delle grandi crisi. Lo fu nel ’29 e lo è stato anche nel 2008. Forse, lo sarà anche in questo 2012?

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